Benvenutu a Ghinea, la newsletter che in quasi sette anni di vita non ha mai parlato di Sarah Kane. E allora rimediamo grazie a June Scialpi, che scrive dell’opera con cui nel 1995 Kane si è guadagnata l’attenzione del pubblico e della critica: Blasted. Buona lettura!
La storia che nessuno vuol sentire: su Blasted di Sarah Kane
di June Scialpi
[Alt Text: ritratto fotografico a colori di Sarah Kane in primissimo piano, con una sigaretta fra le labbra e lo sguardo rivolto alla sua destra. Fonte.]
Blasted: una bomba sulla scena teatrale.
Un debutto insolito.
Sono passati circa vent’anni dalla prima messa in scena di Blasted. Era il 12 gennaio 1995 e l’allora ventitreenne Sarah Kane faceva il suo debutto come drammaturga al Royal Court Theatre di Londra, con la regia di James Macdonald. Una prima che il teatro inglese non potrà dimenticare facilmente.
La direzione del teatro, preoccupata dai contenuti dello spettacolo, aveva riprogrammato la rappresentazione nel periodo successivo alle vacanze natalizie nella speranza di contenere l’affluenza. Il critico Aleks Sierz ricorda, apposto all’ingresso del piano superiore, un cartello che avvertiva il pubblico della presenza di possibili immagini forti; per una volta – avrebbe scritto – la presenza di tale avviso era giustificata.
Tuttavia, quello che nessuno poteva prevedere era, oltre a una buona affluenza, che la stragrande maggioranza del pubblico fosse composta da critici: fatta eccezione per qualche donna, ad occupare le sedie erano prevalentemente uomini bianchi di mezza età della classe media. Fu questo, forse, a generare una corrente di panico che prese a espandersi tra il pubblico fino a sublimarsi nelle recensioni negative che inondarono lo spettacolo il giorno seguente. Eloquente è il titolo (che rimarrà proverbiale) dato dal critico del Daily Mail Jack Tinker alla stroncatura dello spettacolo: «This Disgusting Feast of Filth». Verrebbe da chiedersi allora a cosa avesse assistito il pubblico in quella sera di gennaio.
Il soggetto.
(Seguono spoiler su tutto il dramma. C.W.: violenza, abusi sessuali, dipendenza, suicidio, discriminazioni)
Blasted è un atto unico in cinque scene. Il dramma comincia con l’esplorazione della relazione di potere tra Ian, un giornalista di mezza età, e Cate, una sua ex frequentazione, molto più giovane, che lui ha portato nella camera di un hotel di lusso a Leeds. Diventa subito chiaro come l’uomo abbia organizzato l’incontro allo scopo di sedurla; nonostante le proteste della giovane donna, però, la notte insieme culmina con uno stupro perpetrato da Ian ai danni di Cate. Quando però quest’ultima scappa dalla finestra del bagno, Blasted cambia radicalmente volto, con l’arrivo in scena di un soldato senza nome. La stanza, nel frattempo, viene danneggiata dall’esplosione di un colpo di mortaio. Mentre i due uomini cercano di riprendersi, il soldato racconta a Ian le atrocità che ha commesso durante lo scoppio di quella che viene descritta come una vera e propria guerra civile. Da questo momento in avanti le coordinate spazio-temporali sembrano confondersi, diventano ambigue: la stanza d’hotel non è più, con ogni probabilità, ancora a Leeds, ma in un altro luogo, teatro di un conflitto bellico. L’incontro tra i due uomini culmina con lo stupro e l’accecamento di Ian da parte del soldato, che poi si suicida con un colpo d’arma da fuoco.
Cate ritorna nella stanza/scena con tra le braccia una bambina affidatale da qualcuno, bambina che però muore quasi subito per la fame. La donna la seppellisce in una tomba improvvisata e prega per lei, quindi si allontana e abbandona Ian al suo destino, ignorando le sue richieste di sopprimerlo. Il tempo sembra disfarsi ancora, mentre Ian mette in scena una serie di azioni bizzarre e man mano più atroci (masturbarsi inveendo, defecare, provare a strozzarsi), che culminano con il cibarsi del cadavere della bambina per placare la fame, fino a prenderne il posto all’interno della tomba. Il dramma termina con il ritorno di Cate, che ha ottenuto delle provviste in cambio di rapporti sessuali. Cate nutre Ian, che in chiusura la ringrazia.
Il recupero della fortuna di Blasted.
La critica sembrò non accettare e non comprendere i motivi dell’impianto antinaturalistico dell’opera, che venne giudicata «incoerente e il suo messaggio [...] perso in una trama irrealistica», come riporta Aleks Sierz nel suo rinomato studio. I critici in sala, concentrandosi solo sull’evidenza delle azioni messe in atto, si mantennero a un livello di lettura superficiale, incentrato principalmente sui fattori dello shock che lo spettacolo sembrava voler procurare. Appare ovvio, oggi, alla luce di processi di studio e canonizzazione delle opere e della figura di Sarah Kane, come invece l’espediente della bomba fosse una consapevole operazione di frangimento dell’unità di luogo e tempo, e che con esso Kane intendesse rappresentare l’improvvisa insensatezza della guerra, che penetra dal pubblico al privato con il suo portato di violenza, irrompendo nella quotidianità e confutando la convinzione del pubblico di vivere al sicuro, lontano da tali realtà.
E proprio per comprendere appieno la genesi e i motivi di Blasted, non si possono ignorare i fattori esterni politici e sociali che ne influenzarono la stesura.
Thatcher’s child: Kane come cantora della fine del millennio.
Il teatro in-yer-face.
La produzione di Kane, i cui drammi vennero scritti e debuttarono in un lasso di tempo quasi interamente compreso negli anni Novanta (Kane si tolse la vita nel 1999), si inscrive nella tradizione del teatro in-yer-face. La sua denominazione deriva dal saggio del critico Aleks Sierz In-Yer-Face Theatre: British Drama Today (2001). Tale definizione serviva a descrivere, a posteriori, il lavoro di giovani drammaturghi che portarono in scena contenuti scioccanti, spesso di natura sessuale, precedentemente etichettati come volgari dalla critica. Non si trattava di un movimento letterario vero e proprio: non aveva una scuola o un manifesto, né i suoi rappresentanti più significativi discussero a tavolino le linee guida o collaborarono tra di loro in qualche modo. Era piuttosto un gruppo eterogeneo di drammaturghi, altrimenti irrelati tra di loro, le cui influenze reciproche servirono a creare fortunate commistioni, e tra i quali figuravano autori come John Osborne, Edward Bond, Mark Ravenhill e, per l’appunto, Sarah Kane.
Naturalmente, il teatro in-yer-face non scaturiva dalla fortuita compresenza, nella scena inglese, di giovani autori ossessionati da tematiche cruente, ma aveva delle precise e profonde radici nel contesto storico in cui essi si erano formati.
Il contesto storico degli anni Ottanta.
Gli anni Ottanta erano stati segnati dalla lunga leadership del Primo Ministro del Partito Conservatore Margaret Thatcher (1979-1990). Uscito dal cosiddetto “inverno del malcontento” del 1978-79, il Regno Unito fu protagonista di un boom economico, dovuto alle politiche neoliberiste di Thatcher, che interessò tutto il decennio. Tuttavia, le conseguenze del libero mercato si manifestarono, a livello sociale, in un duro individualismo da un lato, e in una chiamata all’azione dall’altro: la seconda metà degli anni Ottanta fu teatro di attivismi che sfociarono anche nel terrorismo (come nel caso delle operazioni dell’IRA) e negli scontri armati con la polizia. La generazione che si formò in questo decennio accusò l’impennata di cinismo e violenza, nonché la perdita del senso di comunità, che imperversavano in tutto il Paese.
Particolarmente d’impatto per Kane fu il fenomeno degli hooligans, termine con cui la polizia inglese descriveva quei tifosi sportivi fanatici che erano spesso autori di violenze e disordini (negli stadi come, talvolta, per le strade). Gli episodi di cui si rendevano protagonisti gli hooligans, secondo alcuni, altro non erano che l’espressione di istanze di estrema destra e suprematismo bianco.
Il fenomeno viene esplicitamente citato nel primo atto di Blasted (consultabile in Italiano dal 2000 grazie alla raccolta Tutto il teatro, Einaudi).
IAN Hitler ha sbagliato con gli ebrei a chi hanno fatto del male i finocchi doveva far fuori i finocchi i negri e quelli stronzi di tifosi di calcio mandava un bel bombardiere su Elland Road e li faceva fuori tutti.
[…]
IAN Non ti hanno massacrata?
CATE Perché?
IAN Perché il calcio è così. Non è un lavorino di piedi per fare goal. È una roba da selvaggi.
È ironico che a pronunciare queste parole sia proprio Ian, che non è estraneo agli atteggiamenti violenti e bigotti tipici degli hooligans.
Kane riprende anche, più avanti nel testo, un episodio realmente accaduto e riportato nel libro Among the Thugs (1991) del giornalista americano Bill Buford. Nella sua inchiesta sul fenomeno degli hooligans, Buford descrive una violenza perpetrata da un tifoso ai danni di un poliziotto: «Afferrò il poliziotto per le orecchie, sollevò la sua testa fino a portarla all’altezza del proprio viso e succhiò uno degli occhi del poliziotto [...] Poi glielo morse via». [Traduzione di servizio]. Questo episodio ha un suo equivalente in Blasted nella scena in cui il soldato costringe Ian allo stesso supplizio.
Anche la guerra, a tal proposito, non era un’immagine del tutto astratta o generica.
Tra il 1992 e 1993 la guerra civile in ex Jugoslavia raggiungeva l’apice nell’assedio di Srebrenica, in cui si registrò uno dei massacri più sanguinosi di fine millennio. Ottomila musulmani vennero sterminati nella cittadina bosniaca, e i filmati del genocidio inondarono i notiziari. Come ricordato nel libro di Saunders (About Kane: the Playwright and the Work), Kane rimase colpita da un’immagine in particolare (che riporto qui in mia traduzione):
[…]C’era una donna che guardava direttamente la telecamera, che sembrava avere circa settant'anni; il suo viso era grigio e rigato - stava piangendo a dirotto. Guardava la telecamera e diceva: “Per favore, per favore, aiutateci. Non sappiamo cosa fare, per favore aiutateci”, e io rimasi lì a piangere guardandola; e non era tanto un senso di impotenza, quanto il vedere un dolore così estremo. Non credo che ne fossi consapevole, ma penso di aver iniziato a voler scrivere di quel dolore. Probabilmente è stato allora che ho avuto l'idea di volere un soldato nell’opera.
[Alt Text: fotografia di scena dalla rappresentazione di Blasted prevista nel programma del 2018 del teatro Malthouse di Canterbury. Fayssal Bazzi, in piedi e svettante sul letto, interpreta il soldato e indossa una tuta mimetica. Fonte.]
La violenza come spettacolo.
La continua esposizione da parte del pubblico a immagini e narrazioni di scontri, conflitti e violenze stava lentamente infettando il tessuto sociale del Paese.
Ravenhill cita come «emotional starting point» (punto di partenza emotivo) della sua produzione teatrale un caso di cronaca nera del 1993. Il 12 febbraio il piccolo James Bulger, di appena due anni, venne rapito, seviziato e infine ucciso da altri due ragazzini di dieci anni che ne abbandonarono il cadavere su una linea ferroviaria, dove venne rinvenuto due giorni dopo. L’episodio ebbe una forte risonanza mediatica, e motivo di sconcerto fu soprattutto l’indifferenza di diversi testimoni adulti che avevano notato le ferite e l’atteggiamento ostile di Jamie nei confronti dei suoi aguzzini. La gente iniziò a chiedersi, dunque, se le rappresentazioni di tutte le atrocità che riempivano i palinsesti televisivi e le pagine dei giornali non stessero in qualche modo generando una reazione a catena.
Il caso Bulger avrebbe acceso nella coscienza, privata prima e pubblica poi, la consapevolezza che la società inglese fosse profondamente cambiata.
Il linguaggio teatrale in Blasted.
Da Ibsen a Beckett: il ribaltamento delle aspettative del pubblico.
Per Kane, che si è sempre difesa dalle accuse dei critici incapaci di penetrare il linguaggio visivo della scena, è sempre stato importante saper leggere (e interpretare) «the context of the image», il contesto dell’immagine (come descritto sempre dal prolifico critico Saunders, nel suo ‘Love me or kill me’. Sarah Kane and the theatre of extremes)
Fortunatamente ci sono state diverse persone che ne hanno riconosciuto il valore fin dal principio; così già dal 1995, il drammaturgo, regista teatrale, poeta e attore inglese Edward Bond scriveva per il Guardian: «[Blasted non] ci mostra le immagini con cui dovremo convivere se non riconsideriamo la nostra visione etica» perché noi «viviamo già quelle immagini […] Le immagini di Blasted sono antiche, sono le stesse della tragedia greca, del teatro giacomiano e carolino inglese o del teatro kabuki» (come riporta D’Avascio nel testo fruibile gratuitamente qui).
La drammaturga dichiarerà, intervistata da Nils Tabert, di essersi ispirata per la prima parte a Ibsen, e a Beckett per l’ultima.
Un’intuizione particolarmente fortunata, infatti, è quella che ha permesso a Kane di giocare con le aspettative del pubblico inglese medio. Il testo si apre con una descrizione minuziosa dello spazio scenico, considerabile appunto ibseniana. Il pubblico osserva fin da subito la lussuosa camera di un albergo di Leeds, interpretando l’arredo scenico come elemento della chambre piece, e crederanno di star assistendo a un classico dramma composto da conflitti relazionali che si svolge tutto in un solo luogo. A stridere fin da subito, però, è la forma dei dialoghi stringata, le frasi telegrafiche, i periodi sorretti da ellissi e deissi che vogliono volontariamente confondere il senso dei discorsi e la consecutio, nonché l’uso di un lessico aggressivo e volgare. Questi elementi, che stridono con il setting, servono a creare un’atmosfera di minaccia nello spettatore, e fungono da ponte spontaneo nel progressivo e sempre più inevitabile passaggio dal naturalismo al surrealismo espressionista di Beckett. Da chambre piece a camera delle torture.
I personaggi: il contrasto tra Ian e Cate.
I personaggi che popolano questo graduale inferno sembrerebbero rappresentare gli opposti dello spettro dell’umanità. Ian è la carnalità, la vicinanza al mondo ferino. Tutto ciò che fa o dice è scurrile e rimanda a necessità fisiologiche. Mangia carne, fuma e beve nonostante sia affetto da un cancro ai polmoni che lo sta già uccidendo. Cate sembrerebbe rappresentare, d’altro canto, una sorta di purezza d’animo: non mangia esseri senzienti, vede la bellezza che la circonda, compie gesti infantili come balzare sul letto. Il sesso la disgusta, e questo confligge con la sua ricerca di tenerezza, che viene sistematicamente svilita da Ian perché fraintesa come richiesta di sesso. Ian proietta il proprio desiderio sessuale sul desiderio affettivo di Cate, sovrascrivendolo, confondendolo agli occhi della stessa ragazza, che non avendo strumenti che le permettano di riconoscerlo, non riesce a tradurlo, nè a interpretarlo per quello che è: un’ulteriore forma di abuso. Cate difende ogni soggetto che Ian discrimina gratuitamente nel corso dello spettacolo: persone con disabilità, neri, nativi americani. Nei momenti in cui la prevaricazione di Ian su Cate si fa maggiormente aggressiva, lei balbetta, finanche a svenire per lassi di tempo indefiniti. Questo disagio emotivo, che si somatizza in blocchi espressivi, si ripete ciclicamente nelle prime due scene in maniera sempre peggiore, e anticipa l’esplosione di violenza e barbarie che comincerà con l’arrivo del soldato.
Il soldato: “la storia che nessuno vuole sentire”.
Quest’ultimo personaggio rappresenta l’incarnazione degli orrori della guerra, della psiche irrimediabilmente corrotta. Ma è anche una sorta di contrappasso per Ian: il soldato riversa su di lui, con gli interessi, tutto ciò che lui stesso ha fatto subire a Cate. Quando, dopo averlo sodomizzato, il soldato inizia a raccontare nel dettaglio le perverse torture subite e inflitte nel delirio della guerra, Ian gli risponde: «(…) questa è una storia che nessuno vuol stare a sentire». Ed è esattamente questo, la storia che nessuno vuole sentire – e, potremmo aggiungere, che nessuno vuole vedere – che Sarah Kane porta sul palcoscenico con i suoi drammi.
La “storia che nessuno vuole sentire” viene invece urlata da Sarah Kane, letteralmente sbattuta in faccia agli spettatori attraverso soluzioni drammaturgiche e linguistiche estreme, capaci di ridestare un pubblico assuefatto alle sequenze di crimini disgustosi trasmesse quotidianamente dai mass media, affetto da una sorta di apatia emotiva che reprime qualsiasi reazione in un meccanismo percettivo ormai prossimo all’automatizzazione. (A. Leonardi, Psicosi individuale e psicosi di massa in Blasted di Sarah Kane)
Poche battute dopo si svolge la scena più sconvolgente dell’intera opera. Il soldato succhia via gli occhi a Ian, in un gesto che inganna il pubblico: il suo avvicinamento sembrava presagire un bacio.
In Blasted l’accecamento ha un valore simile: è la pena di contrappasso che Sarah Kane infligge dal palcoscenico a chi non vuole vedere, a chi distoglie lo sguardo con indifferenza mentre lo schermo del televisore proietta le immagini degli orrori perpetrati nel mondo, e in particolare, in quel preciso momento, nei campi di guerra dell’ex-Jugoslavia. (A. Leonardi, Psicosi individuale e psicosi di massa in Blasted di Sarah Kane)
Ecco che il passaggio da Ibsen a Beckett è definitivamente compiuto: il setting iniziale, così come le indicazioni sceniche e le didascalie, non possiedono alcun valore prescrittivo rispetto alle sorti dei personaggi, ma sono quasi un rovesciamento parodico delle convenzioni naturalistiche.
Questo si può notare soprattutto nella parte finale della storia.
Dopo le torture inflitte a Ian, il soldato si spara. Ian, rimasto ormai solo e cieco, spogliato di tutto tranne che della realtà feroce del suo corpo e delle sue pulsioni basilari, sembra pronto a morire. La sua morte, però, è tutto tranne che definitiva. Dopo aver consumato il cadavere della bimba e aver preso il suo posto all’interno della tomba sotto le assi del pavimento, solo la sua testa spunta fuori, e lì sta fino a che, da didascalia, non «Muore con un senso di sollievo».[16] Qualche istante e comincia a piovergli in testa, attraverso un buco nel soffitto. Ian allora esclama «Merda».[17] Il testo si chiude in maniera ambigua rispetto al destino dei protagonisti: Cate ritorna in scena dopo aver barattato del cibo attraverso il sesso, e prende in giro Ian per essersi posizionato proprio sotto la pioggia. Consuma ciò che si è procurata, condividendolo con Ian, che la ringrazia.
Il surrealismo di Sarah Kane è lo specchio della contemporaneità. Il fattore più sorprendente e spaventoso di Blasted risiede proprio in questa sorta di anacronismo letterario: il testo sembra avere più senso ai giorni nostri rispetto a quando è stato messo in scena la prima volta; questo perché affronta una tematica molto vicina alla nostra quotidianità: cioè il timore, ormai più che ragionevole, che la società possa essere ridotta a brandelli in qualsiasi momento.
Catalisi dell’esperienza.
Blasted, insieme al resto della produzione della drammaturga, è stato spesso frainteso. I critici, incapaci di penetrare il testo e le sue implicazioni, hanno bollato la produzione di Kane come violenta per il gusto d’essere violenta. E a ben vedere sono queste le caratteristiche per cui solitamente Sarah Kane viene ricordata. Ma la rappresentazione sistematica ed esplicita di questi atti di violenza, di questa disumanità brutale, fa parte di un intento più ampio per Kane, di una sua volontà politica.
Se sperimentiamo in teatro quello che significa commettere un atto di brutalità estrema, magari ne possiamo provare una repulsione tale da impedirci di andare a commettere poi un atto violento e disumano fuori nelle strade. Io credo che la gente possa cambiare, credo che sia possibile per noi, come specie, cambiare il nostro futuro. Ed è per questo che scrivo quello che scrivo.
Gli elementi antinaturalistici che caratterizzano la produzione di Kane acquistano più valore quando non vengono interpretati come una mera cifra stilistica, oppure come una scelta arbitraria di realismo.
Secondo le studiose Paula Barba Guerrero e Ana Manzanas Calvo, il teatro di Kane avrebbe una qualità esperienziale in cui l’azione non viene semplicemente narrata, ma presentata al pubblico affinché la riviva. Questo contagio emotivo, che tradisce appunto i fondamenti naturalistici del teatro, permette alla messa in scena di divenire un catalizzatore, un’entità unificante che connette i corpi degli attori e del pubblico.
Stando a queste interpretazioni, il ritorno finale di Cate, la sua compassione e i ringraziamenti di Ian potrebbero essere letti come la scelta di prendere le distanze da un eterno ciclo di vendette. Blasted esplora il corpo vulnerabile così come la vulnerabilità della società e delle nazioni, e lo fa trasformando questi elementi in siti di resistenza nei quali le interconnessioni tra entità fragilizzate (che hanno dovuto riconsiderare la propria identità) possono portare ad azioni di cura e sopravvivenza. Nelle parole di Sarah Kane raccolte da Di Gianmarco: «Pensano che i miei lavori siano deprimenti, mentre con i suoi orrori Blasted addita una speranza».
Rovesciamenti.
Blasted, ancora prima del suo debutto sulla scena, ha rivelato un atteggiamento ozioso da parte non tanto del pubblico quanto della critica, la quale si dimostrò impreparata nel cogliere le implicazioni semantiche che Kane aveva disseminato nel dramma puntellandole con giochi metateatrali (come l’esplosione che distrugge le unità aristoteliche, o la costruzione di una scenografia destinata a frizionare con il testo).
Dalla storia della ricezione di Blasted possiamo intuire che il suo pubblico, non importa quanto addestrato nell’interpretazione del linguaggio teatrale, faticava ancora a comprendere che, se il mondo era davvero cambiato, allora sarebbe dovuto cambiare anche il modo di fare teatro. Tutta la violenza e l’alienazione che trovavano spazio negli spettacoli quotidiani dei telegiornali non potevano semplicemente evaporare, come fossero una miscela ben distinta di episodi di cronaca, ma stavano venendo assorbiti dalla coscienza sociale. Alcune delle scene più “forti” di Blasted (l’esplosione e lo stupro di Ian) non sono frutto dell’estro truculento di Kane, bensì sono informate da fatti e circostanze reali.
Ben lungi dal voler dare una lezione su cosa dovrebbe o non dovrebbe fare il teatro, Kane riesce però a dimostrare cosa può fare: può cioè elaborare immagini complesse che riescono a raccontare il mondo per com’è (o come potrebbe essere). Gli elementi antinaturalistici che compongono Blasted riescono ad esprimere un’urgenza e una vividezza semantiche (e semiotiche) che un’impostazione naturalistica non avrebbe mai consentito. L’inverosimile in Blasted diventa vero.
BIBLIOGRAFIA PRIMARIA
KANE, SARAH, Dannati, in Tutto il teatro, (a cura di Luca Scarlini, traduzione di Barbara Nativi), Einaudi, Torino 2000.
BIBLIOGRAFIA SECONDARIA
BARBA GUERRERO, PAULA & MANZANAS CALVO, ANA, Trespassing Physical Boundaries: Transgression, Vulnerability and Resistance in Sarah Kane’s Blasted, in «CLCWeb: Comparative Literature and Culture», Purdue University Press, vol. 21, n. 1, 2019.
D’AGOSTINO, LUCA, Sarah Kane e Mark Ravenhill: oltre il teatro in-yer-face (tesi di laurea), Università di Pisa, a.a. 2019/20.
D’AVASCIO, ROBERTO, (a cura di), I’m Much Fucking Angrier Than You Think. Il teatro di Sarah Kane vent’anni dopo, UniorPress, Napoli 2022.
IBALL, HELEN, Sarah Kane’s Blasted, Continuum, Londra 2008.
SAUNDERS, GRAHAM, ‘Love me or kill me’. Sarah Kane and the theatre of extremes, Manchester University Press, 2002.
SAUNDERS, GRAHAM, About Kane: the Playwright and the Work, Faber & Faber, Londra 2009.
SIERZ, ALEKS, In-Yer-Face Theatre: British Drama Today, Faber & Faber, Londra 2014.
June Scialpi (1998) ha pubblicato il libro Il Golem. L’interruzione (Fallone Editore, 2022) con il quale ha vinto il Premio Flaiano Poesia Under 35 e le plaquette Condotta del simbionte (La Collana Isola, 2023) illustrata da Majid Bita e in mezzo ai giorni (i) dati (Zacinto/Biblion, 2024). Alcuni suoi racconti sono apparsi su Spore Rivista e Mandos, inserto cartaceo di Palin Magazine e nell’antologia Stasera faremo cadere il cielo (Zona42, 2024). Si interessa di studi queer e transfemminismo. Collabora con diverse realtà online. Ha tradotto Indumenti contro le donne di Anne Boyer (in uscita per Tic, 2025). Facebook; Instagram.
Una recensione di Chi ha ucciso Anna Karenina? Inchiesta sugli omicidi bianchi nei romanzi dell’Ottocento di Nadia Fusini, firmata da Alice Figini.
Un’analisi della giornata antifascista svoltasi a Buenos Aires lo scorso 1 febbraio:
È una vera sfida disarmare, o perlomeno neutralizzare, il repertorio di pregiudizi di chi, dall’altra parte, si lamenta delle proprie condizioni di vita, però non associa questo malessere alla modalità con cui sono organizzate le società contemporanee e tendono persino a empatizzare con le posizioni padronali quando gli vengono chiesti dei sacrifici. Un vero modello di obbedienza che accetta l’idea che “prima vivevamo oltre le nostre possibilità”, mentre invece non vivevamo bene per niente. E, colmo dei colmi, si incolpano quelli che stanno peggio, chi si organizza, lotta e alza la voce. Alcuni disconoscono e altri rifiutano con risentimento l’enorme ruolo che le reti di solidarietà hanno nelle questioni di genere, nell’educazione e nella salute mentale: spazi che contengono, organizzazioni che reinventano il modo di vivere…
Un’intervista all’attivista statunitense per il diritto all’abitare Chelsea Kirk. Kirk vive e lotta a Los Angeles, i cui incendi degli scorsi mesi hanno fornito ai proprietari di casa un’ottima occasione per aumentare i canoni delle locazioni. Il collettivo Rent Brigade, in cui Kirk milita, si sta opponendo.
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Ringraziamo June per il suo bellissimo pezzo e ci diamo appuntamento a marzo.
Un abbraccio!
Francesca, Gloria e Marzia
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