La ghinea di novembre
Benvenut@ a Ghinea, la newsletter in versione ridotta. Questo mese torna Sofia Racco e ci parla del viaggio artistico di FKA Twigs. Buona lettura!
Opzione donna, la pensione contro le non madri.
Il capitalismo delle vibes?
Una breve e ricca disamina della propaganda razzista nei media italiani scritta da Oiza Q. Obasuyi.
Dialogo con Ann Goldstein, traduttrice superstar di Elena Ferrante.
Dal blog del gruppo anarchico Galatea, la traduzione di un articolo che osserva e documenta le strategie di sopravvivenza di femministe e soggettività anarchiche polacche in seguito alla stretta sull’aborto (prima e seconda parte).
Se hai apprezzato il contributo di Simona Iamonte sul lavoro di Shirin Neshat, apparso nel numero dello scorso mese, puoi approfondire con un’intervista recente all’artista.
FATTO DA VOI
Il culto di Sylvia Plath, raccontato da Giorgia Maurovich.
Dopo Phenomena, un nuovo podcast scritto da Paola Moretti.
UN’ARTISTA
di Sofia Racco
[Alt text: FKA Twigs fotografata da Matthew Stone per Magdalene. Fonte]
Una bambola di porcellana dai lineamenti cartooneschi e gli occhi che si ingrandiscono a ogni lacrima versata. Sospesa per aria con i propri capelli a fungere da corde. Una dea gigante seduta su un trono all’interno di un antico tempio circondata da ballerine in miniatura con i suoi stessi lineamenti. Un’eroina che non si è mai vista in uno sci-fi, che inizia una lotta di spade per le strade di Londra. Una ballerina di pole dance che sprofonda con magnificenza in degli abissi fantasmagorici.
Sono le persone di Tahliah Debrett Barnett, in arte FKA Twigs, e che si ritrovano in alcuni videoclip delle sue canzoni più famose: nell’ordine, Water me, Pendulum, Two Weeks, sad day e cellophane. Un campionario eterogeneo di maschere fatte della stessa pelle e che ritornano sempre lo stesso volto: quello di Twigs, in tutte le sue passioni, le sue colpe, le sue mancanze, i suoi desideri e le sue vulnerabilità. Le labbra delle maschere di Twigs si muovono emanando dei sussurri evanescenti, un delicato mormorio con cui dà voce a desideri vigorosi: di vicinanza, di contatto, di reciprocità, di unione.
Il percorso lungo la discografia di Twigs è un percorso verso il cuore delle cose: si inizia inoltrandosi in un territorio dalle sonorità e dal linguaggio misterioso, circondati da visi e da paesaggi estranei, alieni, ma c’è qualcosa di familiare che si percepisce in fondo a questa estraneità. E così proseguendo ci si avvicina a quel nucleo di familiarità e si riconosce la sua fusione con l’alterità, apprendendo quanto ciò di familiare possa essere estraneo e quanto ciò che è estraneo contenga più che lo sconosciuto il disconosciuto. Più si va avanti nel mondo di Twigs più ci si ritrova a fare i conti con la vulnerabilità che emerge man mano che le difese si abbassano e le maschere si dissolvono in un viso: quello stesso stato di sensibilità che rappresenta le origini delle forze creative di Tahliah. Rimangono il corpo, il movimento,la fragilità e la possibilità di ferirsi e di provare dolore: è il tema che funge da filo conduttore lungo tutto il percorso artistico e personale di Twigs, due percorsi che a un certo punto, in corrispondenza di Magdalene, si fondono in maniera particolare. Proprio Magdalene, nasce da due esperienze personali intense a livello emotivo e fisico: la fine di una relazione e la rimozione di sei fibromi dell’utero (‘una cesta di frutta di dolore’ come definiti da lei stessa in un post).
[Alt text: FKA Twigs ritratta con un mazzo di fiori in bocca per Dazed & Confused. Fotografia di Ryan McGingley. Fonte]
Tahliah Debrett Barnett nasce prima di tutto come ballerina, elemento che risulterà cruciale nella sua concezione dell’arte e della musica come elemento che raggiunge il suo massimo potenziale comunicativo quando si trova legato in maniera intrinseca alla danza.
A sedici anni si trasferisce nel sud di Londra (dove inizierà anche a muovere i primissimi passi nel mondo della musica lavorando nei circoli giovanili) per inseguire la carriera nel mondo della danza, seguendo le orme della madre, una danzatrice di salsa anglo-spagnola. A Londra lavora anche nel circuito dei cabaret e dei locali notturni: diventa cantante fissa al The Box Soho e lavora come hostess in uno strip club. L’esperienza negli strip club sarà una fonte importante per la sua arte, come riconoscerà lei stessa parlando dell’esperienza anni dopo su Instagram, in un post dove lancia un’iniziativa a sostegno delle stripper e delle sex worker durante la pandemia.
La sua discografia comprende due album in studio, tre EP e un mixtape: debutta nel 2012 con EP1, seguito nel 2013 da EP2. Nel 2014 esce il suo primo album, LP1: il prossimo album in studio arriverà solo quattro anni dopo con Magdalene (una pausa interrotta solo dall’uscita dell’EP M3LL155X nel 2015). Soprattutto i tre ep sono marcati da una vena fortemente sperimentale, descritti spesso come un miscuglio di musica elettronica, trip hop, R&B e d’avanguardia.
Già dai primi lavori l’importanza del connubio tra il lavoro visuale e quello sonoro è tangibile. Questo stretto legame tra parte visuale e parte sonora può essere considerato quasi un manifesto esplicito fin dagli esordi della concezione dell’arte di Twigs: i pezzi di EP1 (2012) (Weak Spot, Ache, Breathe, Hide), caratterizzati da sonorità elettroniche e un cantato sussurrato, sono accompagnati da una serie di videoclip realizzati in collaborazione con Ladoja. Nella serie di EP1 Twigs porta la sua esperienza di ballerina: il corpo e il movimento sono centrali in tutti i videoclip, dove il dei corpi davanti all’occhio della telecamera esprimono fisicamente le diverse sensazioni su cui ogni singola traccia è incentrata (nel video di Weak Spot c’è anche un incrocio tra il corpo umano e quello digitale, con l’ologramma di Twigs che si alterna alla presenza reale dell’artista).
Twigs sa cosa dire e come dirlo, ed è consapevole dell’impatto che il contenuto visivo che veicola il messaggio reca con sé. Infatti sin da questi videoclip l’immagine non funge da mero supporto del prodotto musicale ma ne è parte integrante nella costruzione di significati e nella moltiplicazione delle loro ambiguità: l’intreccio indissolubile tra canzone e videoclip nell’elaborazione di una narrazione complessa e organica evade il rischio di univocità aprendo la porta a nuovi significati e con essi a nuove possibilità di interpretazione che mantengono l’organismo artistico vitale.
[Alt text: FKA Twigs ritratta mentre tiene un fiore rosso sull’occhio. Fotografia di David Burton. Fonte]
Nello spazio attraversato dall’intreccio tra visuali, sonorità, testi e performance fisica, vanno creandosi e mescolandosi le sfaccettature che compongono la ‘creatura Twigs’: non un personaggio fittizio, non un alter ego, ma un complesso mescolarsi di idee, esperienze, e soprattutto di vulnerabilità. Una vulnerabilità emotiva che viene liberata dalla stigmatizzazione e viene rivendicata come parte integrante della propria identità e come elemento indispensabile per la creazione artistica: questa vulnerabilità, identificata con l’idea di fertilità, viene esplicata attraverso un processo fortemente fisico che identifica il corpo come sede naturale della vulnerabilità e in quanto tale suo principale mezzo espressivo. Ma questa qualità non è esplorata solo nel corpo come organismo individuale ed isolato, ma anche e soprattutto nell’incontro tra più corpi, nella sessualità come esperienza condivisa e come luogo esperienziale di nuove forme di vulnerabilità.
LP1, il primo album in studio, rappresenta invece un punto di snodo importante, tanto per la carriera di Twigs che da qui in poi spicca il volo scalando le classifiche e assicurandosi esibizioni nei principali festival internazionali, sia dal punto di vista propriamente musicale, visuale e tematico. L’album, in cui FKA Twigs figura tra i produttori, esce nell’agosto del 2014, ed è un miscuglio di avant-pop, alternative R&B, elettronica e trip hop che viene fin da subito acclamato dalla critica.
I singoli che precedono l’album sono Two Weeks, Pendulum e Video Girl. Pendulum è una delle prove più evidenti del controllo creativo che Twigs esercita sulle sue creazioni: Twigs è responsabile della scrittura della canzone, della sua co-produzione e della direzione del videoclip annesso. Lei stessa lo definisce “la più grande cosa creativa che abbia mai fatto”. All’interno del video sono presenti dei riferimenti allo shibari: oltre a essere uno dei tanti elementi che costruiscono la complessa dimensione della sessualità all’interno dell’universo creativo di Twigs, rappresenta anche un’occasione per chiarire le ragioni dietro alla modalità di rappresentazione della sessualità all’interno del prodotto artistico: la sessualità non viene riprodotta attraverso i meccanismi di stampo consumistico che la trasformano in una merce da cui trarre profitto, né assume i connotati patriarcali di elemento oggettificante che trasforma il corpo femminile stesso in un prodotto privo di volontà, non soggetto agente ma elemento passivo della sfera sessuale. Da qui la necessità di dirigere i propri lavori, per sfuggire alle insidiose maglie del male gaze: lei stessa parla di un’esperienza sul set in cui ha dovuto dare istruzioni molto specifiche a proposito, per evitare che le sue idee venissero snaturate da una realizzazione a favore di sguardo maschile: “‘You’re shooting and you’re going from my face down to my chest and it’s great but it’s not me’. I was like ‘let’s look at my calves, let’s look at feet tied up, let’s look at the marks on my arms, let’s find things that are more interesting’” (“Mi stai riprendendo e stai andando dal mio viso verso il petto e va bene, ma non sono io”. Dicevo “guardiamo i miei polpacci, guardiamo i piedi legati, guardiamo i segni sulle mie braccia, troviamo cose che siano più interessanti”), come si ritrova a spiegare al cameraman che la riprende da un punto di vista maschile.
[Alt text: FKA Twigs fotografata da Matthew Josephs durante un concerto. Fonte]
Il corpo femminile portato in scena da Barnett all’interno dell’aspetto visuale dei suoi lavori è un corpo ripreso nell’atto di districarsi dall’eteronormatività patriarcale, dalla necessità di apparire necessariamente ‘bello’ o ‘sexy’ come se fossero i prerequisiti principali che deve soddisfare per occupare uno spazio, specialmente uno spazio all’interno dell’industria dello spettacolo il cui mandato sembra essere quello di produrre immagini conformi agli standard dominanti: in quest’ultimo caso esso diventa un luogo di espressione che reca i segni tanto delle esperienze emotive più viscerali quanto delle gabbie sociali modellate dalle norme di genere. Questo passaggio di segno avviene perché è l’artista a prendere il controllo della narrazione che vuole tracciare attraverso il proprio corpo: questa scelta crea uno squarcio all’interno dello show business, uno squarcio di indipendenza creativa e di narrazioni dell’alterità. E alterità è proprio una delle parole più presenti all’interno del vocabolario di Twigs, uno dei pilastri fondanti dell’immaginario che ha costruito e che suggerisce un altro, un terreno di diversità profonda, così profonda da essere percepita come aliena.
LP1 è un viaggio all’interno di un mondo mistico, collocato in un tempo lontano davanti a noi come suggeriscono le sonorità futuristiche, ma allo stesso tempo pervaso da un sentimento arcaico, primitivo che trova voce nei sussurri e nei vocalizzi di Twigs che si intrecciano con le basi.
Arcaico e primitivo perché i sentimenti e le sensazioni che lo animano in profondità sono di quanto più umano e più primordiale ci sia: amore, desiderio, malinconia, speranza. In questo viaggio musicale si incrociano, attraverso intrecci complessi due dimensioni: una eterea, sussurrata e fortemente fisica e terrena veicolata dalle diverse immagini di tipo sessuale, che a loro volta rimandano parzialmente a un terreno altrettanto intangibile come quello della connessione emotiva tra due persone. È una sessualità che sembra sfociare nell’incompiutezza, espressa più dalla tensione di un desiderio che rimane inappagato nel suo voler stabilire una connessione più profonda che da una realizzazione piena e soddisfacente. La celebrazione del desiderio sessuale è accompagnata dalla celebrazione della solitudine. Tutte le tracce di LP1 sono attraversate, in maniera più velata, anche da un sentimento di solitudine: una solitudine che non si pone in contrasto alla sfera sessuale ma è il territorio da cui quest’ultima trae forza e nutrimento.
L’immaginario sessuale è fortemente presente e sfugge alla prospettiva maschile ed è spesso molto esplicito: l’esempio più evidente è il singolo Two Weeks, incentrato su una dimensione erotica con elementi che rimandano a una forte fisicità accompagnati da rimandi a una dimensione mistica, ultraterrena (basta citare il ritornello: mouth open, you’re high). Ma i rimandi sessuali in Twigs non sono sempre da prendere alla lettera, seppure si distinguano per la loro concretezza, ma anche come una metafora di un’intimità intesa in maniera più profonda: “some of the songs that people think are the most sexual are not at all to me” (“alcune delle canzoni che la gente pensa siano le più sessuali non lo sono per niente per me”) dice in un’intervista per Pitchfork :
Like when I sing, ‘If you want to touch me you can do it with the lights on,’ that’s a metaphor for letting certain people see the different, ugly sides of you that others won't be able to see.
Per esempio quando canto ‘Se vuoi toccarmi puoi farlo con le luci accese’, è una metafora sul lasciare che alcune persone vedano i lati diversi e sgradevoli di te che gli altri non sono in grado di vedere.
È una rappresentazione della sessualità, quella fabbricata, da Twigs che non cerca di sfuggire all’inconsueto, alla stranezza: in un’intervista per il Guardian in riferimento alle visuals del video di Two Weeks Tahliah si esprime così:
Weird things can be sexy, vulnerability is the strongest state to be in. How boring would it be if we were constantly dominant or constantly submissive? In the video, it's this vision of me feeding myself, milking myself. I was naked, painted in gold, doing krump dance moves. It's bizarre, but hot in a very weird way.
Le cose strane possono essere sexy, la vulnerabilità è lo stato più forte in cui esistere. Quanto sarebbe noioso se fossimo costantemente dominanti o costantemente sottomessi? Nel video c’è questa visione di me che nutro me stessa, mungendomi. Ero nuda, dipinta in oro, facendo passi di danza krump. È strano, ma anche eccitante in una maniera molto stravagante.
Questo percorso di esplorazione del proprio intimo raggiunge l’apice in Magdalene: uscito nel 2019, dopo quattro anni di assenza dalle scene musicali, è considerato all’unanimità l’apice più alto toccato finora dall’artista britannica: ancora più acclamato dalla critica di LP1, è un lavoro che spicca per il suo carattere di forte organicità e coesione interna e per la presenza spiccata di una narrativa ben definita: i semi sparsi durante gli anni con i pezzi precedenti sembrano aver trovato una splendida fioritura nell’impianto maestoso di quest’album. Magdalene è formato da nove tracce e presenta sulla sua copertina dal sapore espressionista (di Matthew Stone) un’immagine 3D di Twigs la cui forma umana è difficilmente decodificabile. L’immagine di Tahliah appare decostruita attraverso una combinazione di pittura e di manipolazione digitale, la figura incarna questo processo risultando come uno miscuglio destabilizzante di naturalezza e artificio, di concretezza terrena e di immaterialità, di forza (come suggerito dalle fattezze fisiche accentuate nel ritratto) e di vulnerabilità (espressa attraverso l’impressione di incompiutezza della figura e dagli occhi lucidi).
Twigs descrive Magdalene come un album su “tutti gli amanti che ha avuto e tutti quelli che avrà”, qualcosa di “molto fragile” e frutto di un periodo di “ripresa fisica ed emotiva”: Magdalene si colloca proprio in quel punto di fragilità estrema in cui, proprio quando tutto sembra sul punto di crollare, tutta la forza e lo spirito di ribellione riemergono da spazi imprevisti.
Perché Magdalene? Twigs parla di come sia sempre stata affascinata dalla figura di Maria Maddalena e di come nel discorso comune ci sia stato un passaggio nella percezione della sua figura da un polo opposto all’altro, un passaggio da manuale all’interno della dicotomia patriarcale. Si tratta del paradigma virgin/whore, che da sempre modella e sorveglia l’immagine pubblica della donna eliminando ogni complessità che la caratterizzi come individuo. Maria Maddalena, sotto le lenti dominanti del patriarcato, ha ricoperto il ruolo di diversi archetipi: discepola al pari di Pietro, moglie di Gesù, prostituta, santa. Il filo che lega questi archetipi è la loro dipendenza dalla figura di un uomo: la loro costruzione stessa è frutto di un esercizio di potere maschile che, ancor di più in ambito religioso e soprattutto nell’ambito della teologia, controlla da sempre la narrativa, strappandola dalla voce delle dirette interessate. Prendendo come simbolo Maria di Magdala, non in quanto figura biblica ma in quanto donna, Twigs vuole sottolineare il ricorrere di questa modalità e attuare un’operazione di riscrittura: quanto spesso la voce delle donne venga negata e la possibilità di raccontare la propria storia venga loro sottratta. Twigs vuole superare la dicotomia ed esplorare la complessità che viene negata a Maria Maddalena e a tutte le donne che rappresenta.In questo modo, può esplorare anche la propria complessità interiore e quella di tutte le donne che vivono come sentimento universale la frustrazione di essere forzatamente incasellate all’interno di uno stereotipo che ne cancella l’individualità e contraddizioni. Magdalene ha origine nel dolore: è il punto di partenza del percorso di distruzione, ricostruzione e guarigione testimoniato dall’intero album: in quasi tutte le tracce questo dolore è quasi palpabile, espresso dalla voce di Twigs accompagnata da diversi strumenti (centrale è il piano, pressoché assente nei lavori precedenti, prova sonora del maggiore livello di intimità del lavoro).
In Magdalene Twigs riversa sé stessa, tutte le sue fragilità e paure, e nel farlo afferma che nel riconoscere ed omaggiare la sua vulnerabilità risiede l’unica possibilità di riprendere il proprio potere. Senza fragilità e la capacità di raccontarla non esiste narrazione, senza narrazione non esiste potere, si rimane senza voce: è un po’ il messaggio di sottofondo dell’intera esperienza di Magdalene. La fragilità pervade l’interno disco. La fragilità è negli amanti di mirrored heart:
It’s all for the lovers tryna patch the pain away / Its all for the gain / It's all for the lovers tryna fuck away the pain.
È tutto per gli amanti che cercano di riparare il dolore / È tutto per il guadagno / È tutto per gli amanti che cercano di scopare via il dolore.
È nella riflessione sulle macerie di una relazione e sulla tentazione di rinfocolare un fuoco ormai spento alla base di home with you:
I didn’t know you were lonely / If you’d have just told me, I’d be running down the hills to be with you / I never told you I was lonely you.
Non sapevo che fossi solo / Se solo me l’avessi detto, avrei corso giuù per le colline fino a te.
È nella solitudine di daybed:
Pressing are my feelings / Active are my fingers / Faux my cunnilingus / Dirty are my dishes / Many are my wishes.
Pressanti sono i miei sentimenti / Attive le mie dita / Fasullo il mio cunnilingus / Sporchi sono i miei piatti / Molti sono i miei desideri.
È anche nella presa di coscienza del proprio valore e nel tono di sfida in holy terrain:
Will you still be there for me, once I'm yours to obtain? / Once my fruits are for taking and you flow through my veins? /Do you still think I'm beautiful, when my tears fall like rain? /My love is so bountiful for a man who is true to me.
Sarai ancora lì per me, una volta che sarò quasi tua? / Una volta che i miei frutti potranno essere presi e scorrerai nelle mie vene? / Pensi ancora che io sia bella, quando le mie lacrime cadono come pioggia? / Il mio amore è così abbondante per un uomo che è sincero con me.
La nozione di vulnerabilità assunta come perno dell’evoluzione artistica e personale non è un’operazione che si consuma nella sfera individuale senza ulteriori implicazioni a livello sociale, considerando che la vulnerabilità è un tratto che viene considerato in chiave negativa e in posizione antitetica rispetto al concetto di forza, anche e soprattutto in quanto tratto tradizionalmente associato alla nozione di femminilità.
Nel videoclip di Cellophane, il primo singolo, la centralità della corporalità è veicolata dalla pole dance: disciplina vittima di stereotipi che la relegano a uno strumento funzionale al piacere maschile, come spiega invece Kelly Yvonne, coreografa specializzata nel campo della pole e istruttrice che ha lavorato con Twigs alla lavorazione di questo video, è una forma d’arte che aiuta le donne nel “riappropriarsi del loro corpo, della loro sessualità, per riprendere il loro potere”.
[Alt text: FKA Twigs e la pole dance in un frame del videoclip del singolo cellophane. Fonte]
Il testo della canzone è carico di disperazione accompagnata da una sottile ironia: si apre con una serie di domande che si ripetono ossessivamente, come tutte le domande rimaste senza risposta.
Didn't I do it for you? / Why don’t I do it for you? / Why won't you do it for me /When all I do is for you?
Non l’ho fatto per te? / Perchè non lo faccio per te? / Perché non lo faresti per me / Quando tutto quello che faccio è per te?
Su questi interrogativi che compongono il tessuto testuale di cellophane Twigs commenta così: “It’s funny that, as women, we’re asking those questions without realising how epic and iconic we are. Those feelings I had are the result of some socially brainwashed upbringing that I’m not even aware of, but actually, in the core of myself, I know that I’m fine. It’s like a duality” (È divertente come in quanto donne ci vengano poste queste domande senza capire quanto epiche e iconiche siamo. Questi sentimenti che avevo solo il risultato di un lavaggio del cervello sociale di cui non sono nemmeno consapevole, ma in realtà, al centro di me stessa, so di stare bene. È come una dualità.)
L’ultimo lavoro di Twigs, Caprisongs, è il primo capitolo di una Twigs che vive finalmente la sua rinascita dopo il doloroso processo di decostruzione e purificazione rappresentato da Magdalene: già a un ascolto superficiale si presenta come un lavoro meno organico rispetto al precedente ma più fluido, più libero e ‘leggero’ e ‘divertente’. È un prodotto della contemporaneità, del periodo del primo lockdown a Londra, in cui la necessità di contatto e di comunità è stata avvertita in maniera molto forte da Twigs: questo mixtape è attraversato da un rumore costante di sottofondo, di chiacchiericcio, di stralci di conversazione tra amici. La musica qui è ‘contaminata’ da un gran numero di dialoghi e di registrazioni, sia di amici che di fan, creando una rete musicale di legami e relazioni.
Questa fase della vita personale e artistica di Twigs può essere condensata nelle parole di Abigail Sakari, una delle amiche di Twigs la cui voce registrata figura nel mixtape, che in chiusura della traccia oh my love, le consiglia:
But I love you and, um, I wish you could see in you what I see in you, what everyone sees in you, because that's the golden stuff right there and these are your golden years, so have fun.
Ma ti voglio bene e vorrei che potessi vedere in te quello che vedo io, ciò che tutti vedono in te, perché questa è la roba d’oro e questi sono i tuoi anni d’oro, quindi divertiti.
Il riconoscimento del proprio valore e della propria bellezza e la rivendicazione del diritto a celebrare i propri anni d’oro e il divertimento che portano con sé: è con queste premesse che Twigs continuerà a splendere nel panorama artistico contemporaneo e nelle nostre playlist.
[Alt text: FKA Twigs su una spiaggia per il videoclip dell’ultimo singolo Killer. Fonte]
Sofia Racco, classe 1999, born somewhere in southern Italy. Quando non disegna gatti e topi che si inseguono sulle pieghe di un quaderno studia Lettere moderne e scarica la sua rabbia in un teatro di posa. Puoi seguirla su Instagram, su Wordpress e su Medium.
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Francesca, Gloria e Marzia
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