La ghinea di maggio
La risposta alla creazione di questa newsletter è stata sorprendente e commovente, sia prima dell'invio del numero pilota (a dimostrazione che c'è fame di discorsi femministi) sia dopo che la letterina è arrivata nelle caselle di posta di chi aveva fatto in tempo a iscriversi (a dimostrazione che dobbiamo continuare su questa strada? Diccelo!). Nel frattempo maggio è volato e sono successe tante cose, tra cui spicca lo storico risultato nel referendum irlandese sull'ottavo emendamento. In questo numero parliamo di questo e di tanto altro: si comincia dalla prima traduzione femminile dell'Odissea e si atterra nelle sonorità colombiane. In mezzo c'è anche Liberato. Sì, quel Liberato. Buona lettura!
L'Odissea di Emily Wilson
A fine 2017 è uscita, per i tipi di W. W. Norton & Company, la prima traduzione inglese dell’Odissea ad opera di una donna [link di affiliazione]: Emily Wilson, classicista presso University of Pennsylvania. Da allora, recensori e studiosi si accapigliano. La versione di Wilson è definita da Charlotte Higgins “frizzante e musicale" e capace di “esporre secoli di letture virilizzanti del poema”. Sebbene l’inglese di Wilson sia capace di contrarsi per imitare gli esametri di Omero, mantenendo metro e numero esatto di versi, Colin Burrow la trova troppo creativa, e ne raccomanda la lettura accompagnata da traduzioni più consone e fedeli all’originale.
“Se ammettiamo che le storie hanno un peso, è importante il modo in cui le raccontiamo, e questo succede al livello della scelta microscopica della parola” dice Wilson, intervistata dal NYT. Wilson privilegia una lingua d’arrivo semplice ed efficace, in cui la parola inglese rispetta il significato dell’originale anche se non aderisce alla voce del dizionario greco: è così che L’Ulisse “polytropos” dell'invocazione diventa “a complicated man”. L’immediatezza e la chiarezza di Wilson sono però presenti anche in scelte inconsuete e quasi comiche per il loro anacronismo: a Telemaco vengono serviti dei “canapés”, Ulisse porta una “tote bag” (nota Higgins).
Se Wilson sta effettivamente cercando di “fare una traduzione per il millennio” (Burrow), è logico che emerga una sensibilità per le politiche di genere. La novità di Wilson, infatti, non consiste nel mettere in luce la misoginia di Omero, quanto gli automatismi sessisti che costellano la storia della traduzione inglese dell’Odissea. La corretta denominazione delle servitrici impiccate per ordine di Telemaco è di particolare importanza per Wilson, che presta molta attenzione a tutte le donne dell'Odissea, non solo Penelope. L’originale greco “domai” indica, senza alcuna valenza sessuale o morale, schiave domestiche che non avrebbero potuto esimersi da alcuna richiesta. È nelle traduzioni, sostiene Yung In Chae, che si fa strada, a forza di “sluts” e “whores”, l’idea che vengano punite per il loro passato sessuale “riprovevole”.
Chi teme, come Colin Burrow, che “the males in this translation are in some danger of being matronized”, può rabbrividire pensando che Wilson, “se davvero avesse voluto essere radicale” avrebbe potuto tradurre la prima parola dell’Odissea, “andra”, con “marito”, facendo diventare Ulisse uno “straying husband”. Oppure, può affidarsi alla spiegazione della stessa Wilson, in questo thread.
La femminilità di Liberato
Ci siamo divertite ad applicare la teoria del colore rosa elaborata da Durga Chew-Bose al “dittico” di maggio diretto da Francesco Lettieri per Liberato. Le ragazze dei video INTOSTREET e JE TE VOGLIO BENE ASSAJE sono caratterizzate da due specifiche tonalità di rosa, il fucsia acceso e il rosa pastello.
Chew-Bose chiama sporty pink il colore che, scrive, “sembra così familiare. Nostalgico, ma che arriva dal futuro”: il ciclamino neon delle “versioni per bambina dei giocattoli anni ’90”. Sporty incarna la versione “innocua e carina”, è un colore diminutivo, come “sportivo” sta ad “atletico”, proprio come la felpa buttata sulle spalle per coprire un reggiseno tecnico usato come top per uscire la sera, non per fare ginnastica. Il ciliegia è una sfumatura di rosa che "solo chi lo indossa possiede” e “meno interessato all’estetica minimale ed equilibrata” del suo analogo millennial pink, la palette di confetto, cipria e madreperla che tinge costumi da bagno troppo graziosi per rovinarli nuotando nell’acqua di mare.
È facile distinguere per tonalità le ragazze senza nome di Liberato. Fucsia che allunga le mani per accarezzare e schiaffeggiare, slacciare una zip, per spingere via o tenersi salda al motorino. Rosa che si stringe le mani in grembo per l'imbarazzo, fa scattare veloce le unghie sullo schermo dell'iPhone Rose Gold e manda emoji cuore viola, la versione annacquata di un inequivocabile cuore rosso.
Contro la minoranza musulmana dei Rohingya sta avvenendo, per mano delle forze armate birmane, un "da manuale di pulizia etnica" (il virgolettato è di Zeid Ra’ad Al Hussein dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani). Stiamo parlando di centinaia di migliaia di persone aggredite e scacciate dalle loro terre coi metodi più brutali, tra cui si annoverano le esecuzioni sommarie e gli stupri punitivi (e conseguenti gravidanze). Poiché la crisi è esplosa lo scorso settembre, molte profughe hanno appena partorito o sono ormai prossime al parto (l'Unicef stima 16.000 nascite). Madri e bambini sono stressati e denutriti, vivono in condizioni igienico-sanitarie disastrose e sono esposti a malattie. E mentre da più parti si levano voci che chiedono la revoca del premio Nobel per la pace alla leader birmana Aung San Suu Kyi, accusata di essere indifferente se non complice di questo massacro. Un'amara conferma, corroborata dalla recentissima nomina della torturatrice Gina Haspel a capo della CIA, che non è detto che si debba far festa quando il potere passa in mano a una donna.
Lo sapevi che la nostra fantastica art director Federica si è ispirata alla grafica degli Inflammatory Essays di Jenny Holzer per creare il logo di Ghinea? Ma Jenny Holzer è molto più di questo: eccoti un riepilogo del suo percorso artistico.
Somnyama Ngonyama è un progetto fotografico dell'interessante artista sudafricana Zanele Muholi. La fotografia di Zanele è appassionatamente politica ed esplora che cosa significa essere nera, donna e lesbica nel post-apartheid. In questa meravigliosa serie di autoritratti, l'iconografia razzista viene usata per far emergere la maestà dello sguardo di Zanele, circondata ma mai piegata, oppressa nella composizione ma non nell'atteggiamento. La scelta del bianco e nero e dell'ipercontrasto rende le immagini ancora più definitive, più violente.
Si è conclusa nel più felice dei modi la campagna irlandese #Repealthe8th, cominciata nel 1983 ed esplosa a livello internazionale a partire dal 2012. Le storie di chi ha dovuto lasciare il paese per poter terminare una gravidanza in sicurezza (come quella raccolta dall’hashtag #TwoWomenTravel) hanno trovato corrispondenza nelle storie del ritorno a casa in occasione del referendum delle moltissime persone con diritto di voto (#HomeToVote), rendendo accessibile la testimonianza di ogni passaggio che ha portato a questo successo. L’ottavo emendamento della costituzione irlandese poneva strettissime limitazioni alla possibilità di abortire all'interno di strutture mediche, costringendo di fatto le donne a lasciare il paese per terminare la gravidanza (recandosi soprattutto nel Regno Unito), o intraprendere vie clandestine e pericolose, rischiando, oltre che la vita e la salute, la detenzione fino a 14 anni (una sentenza più severa che per lo stupro). Attraverso il referendum del 25 Maggio 2018 l’Irlanda ha votato "Yes", a favore dell’abrogazione dell’ottavo emendamento, dichiarando di voler riscrivere la legge per garantire un accesso gratuito, sicuro e legale all'aborto, rispettando i principi di libertà di scelta, di autonomia e di salute.
Radio Ondarossa ha reso disponibili alcune tracce audio dalla trasmissione Si dice donna, che è stata trasmessa dalla Rai alla fine degli anni Settanta. E qualcosa si trova pure nel sito della Rai.
Esiste un sito che raccoglie i festival femministi di tutto il mondo. Purtroppo non ce n'è nemmeno uno in Italia: è forse giunto il momento?
FATTO DA INUTILE
Il primo racconto che abbiamo pubblicato a maggio, Fish Jokes di Kate Reed Petty (tradotto da Elisa Sottana), fa capire in poche parole quanto e perché è difficile parlare di una molestia, o di attenzioni sgradite, nella speranza di incontrare comprensione e supporto. Certi microabusi si nutrono di implicito e di parole innocue che d'improvviso si caricano di disagio o minaccia, per poi tornare perfettamente innocenti a un secondo esame.
Sul nostro canale Medium, invece, Francesco Cisco Pota ci ha raccontato l'affascinante storia del basket femminile negli Stati Uniti.
Ecco infine Francesca alle prese con un delizioso profilo di Daniel Mallory Ortberg, fondatore di The Toast (RIP), tenutario della posta del cuore di Slate, scrittore e anche conduttore di podcast.
FATTO DA VOI
Francesca Ceci ci ha segnalato un suo breve testo uscito sul quinto numero della newsletter Firmamento. Si intitola Modalità per essere femminista e parla di alcune autrici che ci piacciono tanto: Jessa Crispin, Margaret Atwood e Chimamanda Ngozie Adichie. Grazie Francesca, continua così!
Ci arriva da Chiara questo lungo pezzo pubblicato dal Guardian, una riflessione sul movimento #MeToo ora che sono passati alcuni mesi ma la polvere non accenna a posarsi.
Elena e Florencia conducono Ordinary Girls su Radio Popolare e parlano (anche) di GHINEA proprio in questa puntata. C'è anche Marzia che dice sia sistema di potere e di mercato che daje regà.
UNA POESIA
Resist, My People, Resist Them di Dareen Tatour
Resist, my people, resist them.
In Jerusalem, I dressed my wounds and breathed my sorrows
And carried the soul in my palm
For an Arab Palestine.
I will not succumb to the "peaceful solution,"
Never lower my flags
Until I evict them from my land.
I cast them aside for a coming time.
Resist, my people, resist them.
Resist the settler’s robbery
And follow the caravan of martyrs.
Shred the disgraceful constitution
Which imposed degradation and humiliation
And deterred us from restoring justice.
They burned blameless children;
As for Hadil, they sniped her in public,
Killed her in broad daylight.
Resist, my people, resist them.
Resist the colonialist’s onslaught.
Pay no mind to his agents among us
Who chain us with the peaceful illusion.
Do not fear doubtful tongues;
The truth in your heart is stronger,
As long as you resist in a land
That has lived through raids and victory.
So Ali called from his grave:
Resist, my rebellious people.
Write me as prose on the agarwood;
My remains have you as a response.
Resist, my people, resist them.
Resist, my people, resist them.
Dareen Tatour è palestinese e nel 2015 è stata arrestata per aver pubblicato sui propri profili social questa poesia e altri inviti alla rivolta contro l'occupazione. Il 3 maggio una corte israeliana l'ha condannata per incitamento alla violenza. Molti dei mesi precedenti alla sentenza li ha trascorsi agli arresti domiciliari, col divieto di accedere a internet e di pubblicare i suoi lavori. Attorno a Dareen si radunano la solidarietà e gli appelli dal mondo della cultura, del giornalismo e dei diritti umani (la petizione in suo supporto è firmata fra gli altri da Naomi Klein e Noam Chomsky e questo è l'appello di Pen America).
UNA CANZONE
Soy yo di Bomba Estéreo
Andiamo in Colombia e torniamo un poco indietro nel tempo. I Bomba Estéreo sono una band colombiana di electro-cumbia che rappresenta la multiculturalità del proprio paese attraverso sperimentazioni ritmiche. La cantante, Li Saumet, ha dichiarato: “We [Colombians] are a race that comes from Africans, Indians and whites. We have European influence and we have Arabic influence”. La giovane debuttante del video Soy yo si chiama Sarai (suo padre del Costa Rica, sua madre del Perù; vivono in New Jersey) e porta in giro una certa attitude. Perché sia empowering oltre che bellissimo lo spiega Cindy Rodriguez.
UN FILM
The Love Witch di Anna Biller (2016)
Un film contemporaneo che imita la fotografia dei B movies anni '70 che imitano i Technicolor a grande budget degli anni '40. È un film in cui la femme fatale rispetta tutti i criteri del noir, ma per una volta è la protagonista, e quando la camera la segue senza tregua emerge tutta la follia in cui è (auto)costretta. Anna Biller confonde le epoche e i tempi per scoprire che cosa succede quando selezionati ritagli del passato (la stregoneria) vengono riassemblati in un'ottica di profitto (il business dell'occulto). È così che la figura della strega come grande metafora femminista, ribaltata su sé stessa, addomesticata per funzionare in accordo col capitalismo, diventa chiacchiera empowering adatta al tè del pomeriggio. Da vedere tenendo a mente questo thread della regista riguardo il clima sul set durante la produzione del film. Qui il trailer.
UNA DONNA
La donna che celebriamo questo mese è Savita Halappanavar, il volto della rivoluzione irlandese in corso. Nonostante le richieste di cure mediche e i dolori sofferti le è stato negato l’intervento di interruzione della gravidanza perché il caso non ritenuto di livello di "pericolo grave e sostanziale" per la salute della donna: Savita muore il 28 ottobre 2012 all’ospedale di Galway. Questo specifico caso ha dimostrato come le donne si sono viste negate cure mediche durante lo stato di gravidanza al fine di adempiere alla protezione della vita degli unborn.
E per maggio chiudiamo qui: ti abbiamo raccontato delle storie dolorose ma anche delle lotte e delle conquiste che possiamo celebrare e da cui possiamo trarre ispirazione. Pensiamoci, parliamone con gli altri e le altre e perché no? Scriviamone. In ogni caso diffondiamole. E rileggiamoci a giugno, sperando di essere un gruppo ancora più folto.
Francesca, Gloria e Marzia