Benvenutu a Ghinea, la newsletter prontissima per l’arrivo dell’autunno. Questo mese Eleonora Casale torna a trovarci e ci parla della mostra appena conclusasi alla Fondazione Prada di Milano, Cere Anatomiche. Buona lettura!
Penetrare Venere. Da Cronenberg a Satoshi Kon, l’estasi (altrui) della dissezione del corpo femminile
di Eleonora Casale
Attenzione! Il pezzo contiene immagini esplicite di organi umani e dissezioni e tratta di tematiche quali morte, suicidio e violenza sessuale.
Non concentriamoci subito sul piano terra così luminoso, ci ritorneremo. Come torneremo a studiare il cortometraggio che, proiettato entro una struttura che ricorda quella di un teatro, continua a riprodursi in loop, invadendo di gemiti ovattati l’enorme sala vetrata.
Piuttosto percorriamo con passo svelto la scalinata che si fa via via sempre più tortuosa, fino a raggiungere il pesante tendaggio che separa la sala espositiva del Podium della Fondazione Prada al primo piano.
Il nero si addensa, i suoni si attutiscono. L’impianto di illuminazione, sapientemente studiato, attiva a intermittenza luci giallastre che si spandono, appena il visitatore si avvicina, su quattro teche di vetro, disposte simmetricamente all’ingresso della stanza.
[Alt text: allestimento della mostra “Cere Anatomiche” alla Fondazione Prada, a cura di David Cronenberg e il museo La Specola di Firenze. Gli allestimenti, a cura dell’agenzia creativa Random Studio, prevedono un’illuminazione delle opere mediante cellule fotosensibili che, all’avvicinarsi del visitatore, illuminano le opere per circa 10 secondi. La scelta curatoriale deriva dalla volontà di creare uno spazio espositivo “palpitante”, mimando con le luci le contrazioni degli organi esposti in sala. Crediti fotografici: Fondazione Prada.]
In quelle bare trasparenti giacciono, indifese e mirabili, le quattro Veneri della Specola, cere anatomiche rappresentanti donne nel fiore della loro bellezza.
E Ssomiglierebbero davvero a delle principesse addormentate, se non fosse che il loro petto è scomposto e aperto, i seni ribaltati e tagliati, il sistema nervoso che si arrampica sopra di loro in una finissima ragnatela.
Una di queste statue di cera è ancora intatta, ma per poco. Infatti, con una lieve pressione, il corpo della Venere (chiamata Venere dei medici, rimando alla Venere medicea degli Uffizi) si scompone. Attingendo a piene mani si può scavare dentro ai suoi organi, rimuovendoli di gesto in gesto fino a scoprire anche un piccolo feto.
[Alt text: tre foto che mostrano la struttura interna della Venere anatomica chiamata “Venere dei medici”. Nella prima foto la statua di cera è chiusa, rappresentando solo un corpo nudo di donna. Nella seconda foto, il primo strato è stato rimosso, ed è possibile osservare polmoni e tessuto adiposo. Nella terza immagine, anche il secondo strato è stato rimosso, mostrando i restanti organi. Autore sconosciuto.]
[Alt text: Questa Venere anatomica, realizzata dall’officina della Specola tra il 1784 e il 1788, è esposta al Josephinum di Vienna nella sua teca originale in palissandro e vetro di Murano. Crediti: Josephinum, MedUni, Vienna. Foto di Joanna Ebenstein.]
Il compito di queste quattro Veneri infatti, non era solo di essere ammirate come opere d’arte, ma anche e soprattutto essere oggetti didattici per gli studenti di medicina, sul finire del 1700.
La Fondazione Prada, casa dal 24 marzo al 17 luglio 2023 di queste magistrali ceroplastiche, continua il sodalizio con artisti e registi (del calibro di Wes Anderson e Juman Malouf nel caso della mostra del 2020 “Il sarcofago di Spitzmaus e altri tesori” o “Useless Bodies?”, firmata dal duo Elmgreen & Dragse) lasciando loro le redini della curatela ed esplorando contestualmente il campo del sapere, accidentato e affascinante, delle neuroscienze e della filosofia estetica.
Si legge infatti sul foglio di sala:
Il progetto rappresenta una nuova tappa del percorso di ricerca attraverso il quale Fondazione Prada vuole far conoscere importanti collezioni provenienti da “musei ospiti”, per offrire interpretazioni inattese del patrimonio culturale e innescare un dialogo tra una collezione storica e un’istituzione contemporanea.
In questo caso è David Cronenberg - regista che ha lungamente indagato con passione da anatomista il tema del corpo e dello sguardo nella sua accezione quasi necrofila - a indossare le vesti del curatore, inaugurando “Cere anatomiche”, in collaborazione con La Specola, parte del Museo di Storia Naturale e del Sistema Museale di Ateneo dell’Università di Firenze.
Oggetto di reinterpretazione artistica è appunto parte della collezione della Specola di Firenze, uno dei musei scientifici più antichi d’Europa. Istituita nel 1775 e attualmente chiusa al pubblico per lavori di ristrutturazione, ospita al suo interno più di 3,5 milioni di reperti animali, la raccolta più ampia al mondo di cere anatomiche del XVIII secolo e la collezione del ceroplasta siciliano Gaetano Giulio Zumbo (1656-1701).
Rappresentare un cadavere a scopo didattico, ma perché?
Per rispondere, non ci sarà bisogno di scomodare Leonardo da Vinci e il suo presunto trafugare cadaveri. Basterà rivolgere lo sguardo verso la Padova del 1594, Bologna e i loro meravigliosi teatri anatomici, luoghi adibiti alle dimostrazioni pubbliche effettuate tramite dissezione di cadaveri in loco. Spazi liminali, dove scienza e spettacolo, paura e terrore si mescolavano con uno spirito da Wunderkammer.
Nei Teatri Anatomici si tenevano lezioni di anatomia, ma non solo. Nella descrizione del teatro di Bologna, visitabile ancora oggi nel Palazzo dell'Archiginnasio, si legge che le lezioni non erano riservate unicamente agli studenti di medicina, ma anche al pubblico pagante; acquistato il biglietto si poteva assistere, a lume di candela, a sedute di dissezione di uomini, donne e feti, resi veri e propri eventi mondani.
Dalla fine del 1700 questa forma di didattica spettacolarizzata abbandona i teatri-obitorio e si raffina, dando così vita alla realizzazione di cere anatomiche: corpi (appunto, in cera) modellati così finemente e con tale verosimiglianza da poter fungere non solo da oggetto di studio del corpo umano, ma anche come metodo di intrattenimento - in absentia di cadaveri veri e propri. Queste cere infatti si posizionano in uno spazio di frontiera tra la medicina, la morbosità e l’opera artistica. Campioni della ceroplastica furono Clemente Susini e Giulio Gaetano Zumbo, noti per la loro capacità di rendere tangibile l’universo sottocutaneo che alberga in ciascuno di noi.
La ceroplastica, già in se stessa, rappresenta un universo estetico e artistico denso di interpretazioni: evoca il feticcio, il corpo morto e l’automa. Trova la propria epitome nel museo delle cere, grande attrazione popolare fino all’avvento della fotografia e ancora oggi apprezzata per il suo essere intrinsecamente inquietante (quando le cere sono ben realizzate) o cringe (nel caso in cui le cere siano di cattiva fattura).
La lettura di Cronenberg delle ceroplastiche della Fondazione Prada parte da presupposti espositivi già per loro natura concettualmente molto stratificati, e non manca di aggiungere ulteriore complessità.
Cronenberg infatti, realizza un cortometraggio ad hoc, visibile al piano terra del Podium della Fondazione, intitolato “Four Unloved Women, Adrift on a Purposeless Sea, Experience the Ecstasy of Dissection” (trad. Quattro donne mai amate, alla deriva su un mare senza scopo, sperimentano l’estasi della dissezione).
Nel cortometraggio le quattro Veneri della Specola galleggiano sopra gonfiabili da piscina, il loro ciondolare ritmato da gemiti di piacere. Sussulti e ansiti che potremmo immaginare, con un’operazione d’immedesimazione forse non inesatta, come propri delle ceroplastiche stesse nel momento in cui il loro corpo viene scuoiato, sezionato, esposto.
Ma il regista ci induce a immaginare: in un’atmosfera caraibica ai limiti del kitsch da cartolina, i corpi sventrati si lasciano andare alla deriva, gementi sì ma apparentemente inconsapevoli del loro stesso essere e del loro stesso rappresentare.
Quattro donne mai amate, alla deriva di un mare senza scopo, sperimentano l’estasi della dissezione.
[Alt text: inquadratura dell’allestimento del cortometraggio di David Cronenberg alla Fondazione Prada. Al centro della struttura, che ricorda quella di un teatro anatomico, lo schermo rimanda il primo piano della Venere dei medici e la sua espressione estatica. Crediti: Fondazione Prada.]
Riduciamo.
Mai amate, alla deriva in un mare senza scopo, estasi della dissezione.
Il primo e il secondo passaggio non necessitano altro che qualche domanda introduttiva: mai amate? Da chi? Questi corpi di cera nascono per essere osservati ed essere oggetti di fantasia - forse sessuale, forse solo artistica.
Amare tuttavia è una parola ingombrante, forse inconcepibile per dei fantocci resi vitali solo dal loro somigliare corporeo a qualcosa di umano, e dunque intrinsecamente amabili, tuttavia mai amati. Cosa le identifica come mai amate? Forse perché non sono mai state posseduti sessualmente? I sospiri languidi che fanno da quinta sonora al cortometraggio parrebbero suggerirlo. Il pensiero, immancabilmente, và a Galatea: la scultura animata dal suo scultore, viva in quanto amata.
E ancora, alla deriva in un mare senza scopo: donne abbandonate, teleologicamente fallite in quanto mai amate e immerse così nella stessa ridondanza della loro esistenza. All’ormai paludato motto cartesiano del cogito ergo sum, Cronenberg chiosa amor ergo sum.Infatti, il regista così commenta la sua scelta curatoriale:
[...] Nel loro tentativo di creare delle figure intere parzialmente dissezionate, il cui linguaggio corporeo ed espressione facciale non mostrassero sofferenza o agonia e non suggerissero l’idea di torture, punizioni o interventi chirurgici, gli scultori finirono col produrre personaggi viventi apparentemente travolti dall’estasi. È stata questa sorprendente scelta stilistica che ha catturato la mia immaginazione: e se fosse stata la dissezione stessa a indurre quella tensione, quel rapimento quasi religioso?
Cronenberg ha ragione: la peculiarità e forse la fortuna di queste ceroplastiche è la loro espressione facciale che, nell’agonia, si mescola a una forma di estasi orgasmica.
Maestra di questa intersezione tra godimento e patimento è la storia della rappresentazione dei santi della religione cattolica, e il suo corredo di mistici. Raccontava infatti Santa Teresa D’Avila:
Quando ha inizio la pena di cui parlo, sembra che il Signore rapisca l’anima e l’immerga nell’estasi; non c’è tempo pertanto, di sentir pena né di patire, perché subito sopraggiunge il godimento. [Teresa D’Avila, Libro della Vita, 1567]
Teresa D’Avila fu fine mistica e scrittrice, rivoluzionaria e - per quanto possibile - ribelle. E affascinante è spostare lo sguardo dall’espressione che Bernini scolpisce interpretando la Trasfigurazione della Santa al volto estatico della Venere dei medici prigioniera della sua teca, con il suo lezioso filo di perle al collo, la ciocca incastrata tra le dita e le labbra morbidamente dischiuse.
[Alt text: nella prima immagine si osserva un primo piano del volto di Teresa d’Avila nella scultura “Transverberazione di santa Teresa d'Avila” di Gian Lorenzo Bernini del 1652, parte della Cappella Cornaro a Roma, dove osserviamo l’espressione estati della Santa. Nella seconda immagine invece un primo piano del volto della ceroplastica chiamata “Venere dei medici”, che riporta un’espressione di estasi orgasmica molto simile a quella di Teresa d’Avila. Crediti: autori sconosciuti.]
L’estasi della ferita - o meglio la transverberazione, perché di corpi contundenti si parla - e il godimento della dissezione, ambo i volti ne riportano le tracce. Nel tentativo di mitigare l’orrore e la bruttezza di una morte disordinata (soprattutto se femminile e dunque inconcepibile se brutale, come può esserlo durante uno sventramento) le due donne restano cristallizzate in questa sospensione abbandonica.
Liete, nel loro morire e trasfigurarsi.
Ed entrambe queste piccole o grandi morti sono attorniate dal pubblico pagante che, se per la Venere dei medici sono gli studiosi di medicina che la scompongono e ricompongono, per Santa Teresa è la famiglia Cornaro, che commenta in diretta ciò che accade dei palchetti alla destra e alla sinistra dell’altare.
[Alt text: rilievo scultoreo di alcuni dei membri della famiglia Cornaro che osservano la transverberazione di Teresa d’Avila. Crediti: autori sconosciuti]
Un’altro dettaglio che stupisce nelle rappresentazioni della morte femminile e, nello specifico, nel momento dell’autopsia svolta su un corpo di donna, è la teatralizzazione e romanticizzazione del momento stesso.
La donna morta, possibilmente composta, obbligatoriamente piacente e compiacente assurge a lezione morale e comportamentale agli occhi di chi assiste alla scena: non si tratta più di una lezione di anatomia dove il corpo, avendo perso l’afflato vitale, non è altro che un oggetto di studio, ma di uno spazio dove il corpo morto assurge a memento mori e modello comportamentale.
Emblematico infatti il parallelismo tra la “Lezione di anatomia del dottor Nicolaes Tulp” di Rembrandt del 1632 e “The Autopsy: (Anatomy of the Heart; She had a Heart!)” di Enrique Simonet Lombardo del 1890; pur tenendo presente che i dipinti presentano una notevole distanza temporale e afferiscono a periodi e correnti della storia dell’arte differenti, alcune riflessioni qualitative sui soggetti possono comunque essere formulate.
Se nel quadro di Rembrandt il focus si concentra su due filoni ben visibili: l’innovazione scientifica che la lezione di anatomia porta e i volti dei presenti, la cui presenza viene immortalata come simbolo di status, potere e superiorità di intelletto (così in primo piano che a stento ci accorgiamo del cadavere, il cui punto focale è unicamente in quel braccio spellato, oggetto di studio). Nel quadro di Simonet invece il dottore, immerso in una luce quasi atemporale che strizza l’occhio alle correnti pittoriche del Romanticismo e a tratti della Scapigliatura lombarda, contempla meditabondo il cuore appena estratto della splendida prostituta distesa, stupendosi che una donna di così cattivi costumi potesse avere un cuore (il titolo, del resto, è piuttosto parlante).
[Alt text: la prima immagine ritrae il quadro di Rembrandt “Lezione di anatomia del dottor Nicolaes Tulp” dove vediamo il Dottore mostrare a cinque altre figure maschili, estremamente dettagliate nei connotati, l’autopsia svolta sulla mano di un cadavere. Nella seconda immagine invece si riporta il quadro “The Autopsy” di Enrique Simonet Lombardo dove un Dottore osserva il cuore appena estratto dal cadavere di una giovane prostituta, il cui corpo disteso e coperto a stento da un lenzuolo bianco funge da elemento centrale della scena e da escamotage compositivo per rafforzare l’effetto prospettico.]
La donna morta, stesa sul tavolo dell’autopsia, pronta per essere aperta, è vetta estrema della vulnerabilità di un corpo finalmente privo di autodeterminazione e dunque completamente esposto.
Il momento perfetto per penetrare Venere.
Solo attraverso lo squarcio fatale, lo sventramento, si potrà sollevare il velo del mistero su questo corpo che si altera, si modifica, secerne umori e sanguina senza morire. Un corpo racchiuso, un sesso protetto e per questo - in un’ottica patriarcale del pensiero, alla quale spesso la medicina ha purtroppo attinto - misterioso, esclusivo ed escludente.
A questo concetto della penetrazione di Venere (e della collateralità della nudita femminile nella storia dell’Arte) Georges Didi-Huberman dedica un saggio il cui sottotitolo è emblematico; Aprire Venere: nudità, sogno, crudeltà.
Didi-Huberman sostiene che non esista una bellezza corporea che non rimandi a una lacerazione originaria e che non imponga di essere crudelmente “aperta” e profanata, per essere scoperta e compresa.
È Botticelli che dà a Didi-Huberman la possibilità di verificare il nesso tra l’esibizione della nudità e la pulsione crudele della sua “apertura” e profanazione: al museo del Prado vi sono quattro tavole che mostrano, in apparente contrasto con la Venere eternamente nascente degli Uffizi, una Venere eternamente giustiziata dalla novella boccaccesca di Nastagio degli Onesti. Novella che si conclude con un commento sulle donne di Ravenna le quali, spaventate dalla tremenda fine della fanciulla torturata, “[...] sempre poi troppo più arrendevoli a’piaceri degli uomini furono, che prima state non erano.”.
[Alt text: Una delle quattro tavole di Botticelli - parte di un complesso pittorico più esteso - raffigura una giovane donna nuda che fugge inseguita da un cavaliere armato e da due cani da caccia. In uno dei quadri si vede la giovane uccisa dal cavaliere, che ne estrae le interiora da una lunga ferita sulla schiena. In un altro riquadro vengono raffigurati i due cani che divorano gli organi e il cuore della giovane ma, sullo sfondo di questa caccia infernale, si intravede la medesima fanciulla inseguita ancora dal cavaliere, in un continuum infinito. Sulla sinistra, Nastagio assiste terrificato alla visione.]
Ci troviamo dunque nella posizione privilegiata di poter comparare tre Veneri: la nascente degli Uffizi, la perseguitata del Prado e l’eterna morta e nel contempo moritura dei medici, unica a essere tuttavia in una condizione liminale e trascendente attraverso l’esperienza estatica ed estetica della dissezione.
Proseguendo di analogia in analogia ci si trova così al centro di un crocicchio, e nessuna delle strade che si diramano è quella maestra: dato per assodato che la morte femminile, in ogni caso, debba per forza conservare un’apparenza di estetica delle forme (come nel caso della celeberrima fotografia “The Most Beautiful Suicide” che ritrae il corpo schiantato - eppur sempre bellissimo - della giovane Evelyn McHale), l’agonia della femmina non finisce con il suo ultimo respiro.
Il corpo della donna, delle donne, accessibile e rappresentato come godente - per mitigare la repulsione che la morte genera - diventa finalmente strumento di scoperta, di scopofilia e di curiosità morbosa.
Di accesso, insomma, a quell’orrido profondo e insondabile che si nasconde negli orifizi di un corpo la cui essenza e nudità è assurta, con tutte le complessità del caso, a simbolo immortale di desiderio e di peccato.
[Alt text: un collage di tre foto mostra la morte di Evelyn McHale, morta suicida cadendo sopra una macchina e sfondandone il tetto. La foto ritrae la donna così come è stata trovata dai paramedici ed è passata alla storia per la sua posa composta e il volto - canonicamente bello - che pare quasi assopito. Il dettaglio in basso a destra della foto mostra il volto di McHale e le labbra dischiuse, la mano stretta attorno al fazzoletto per il collo. In alto a sinistra, un primo piano di Evelyn McHale. Crediti: autori sconosciuti.]
Nessun cadavere è al sicuro, sul tavolo dell’obitorio. Il corpo della Venere degli anni ‘50 Marilyn Monroe scomparve per diverse ore prima di finire nelle mani dei medici, e le teorie complottistiche - spaventosamente plausibili - lo vedono noleggiato da qualche ricco magnate con passioni necrofile, desideroso di poter penetrare quella bellezza resa mediaticamente così immensamente vicina e nel contempo completamente inafferrabile.
Emblematica, nell’ottica della penetrazione come ricerca, scoperta e dominio da parte dello sguardo maschile eteronormato del corpo di donna, è la scena della dissezione di Paprika di Satoshi Kon, da poco disponibile su Netflix.
Attenzione! Segue uno spoiler del film “Paprika” di Satoshi Kon.
Paprika, eroica oniromante capace di spostarsi da un mondo all’altro con giocosità da deredere per mangaka, è imprigionata su di un tavolo che ricorda quello della dissezione, le ali di farfalla puntate alla superficie con enormi spilli. Nel tentativo di rivelare la “vera Paprika” Osanai, uno degli antagonisti, la penetra con una mano sul pube: tra le urla disperate di Paprika Osanai risale fino al volto e tira, lacerando la crisalide e rivelando la sua forma reale.
[Alt text: frame del film Paprika del film di Satosh Kon dove Osanai penetra con la mano la pelle di Paprika, la protagonista, proseguendo fino al collo. Paprika grida e ha un’espressione di dolore in volto: la fronte corrucciata, la bocca spalancata. Eppure, la stessa immagine, fuori contesto, può assumere nell’occhio di chi la osserva dei connotati non poi così velatamente sessuali.]
Oppure, abbiamo chi non penetra attivamente la Venere, ma ne deduce la vera forma mostruosa paragonandola a una carogna incontrata lungo la strada:
Ricordate, anima mia, la cosa che vedemmo
quel così dolce mattino d’estate;
alla svolta d’un sentiero un’infame carogna
su un giaciglio cosparso di sassi,
le gambe all’aria, come una donna impudica,
ardente e trasudante veleni,
spalancava in modo cinico e disinvolto
il ventre pieno d’esalazioni.
È Baudelaire a parlare alla sua amata. Il poeta cerca d’immaginare, attraverso la contemplazione densa di pathos della carogna che non ha bisogno di essere aperta in quanto già sventrata dalla Natura, come sarà il corpo della donna che lo accompagna, una volta che quest’ultima avrà ricevuto “[...] gli ultimi sacramenti”.
Eppure voi sarete simile a questa sozzura,
a quest’orribile infezione,
stella dei miei occhi, sole della mia natura,
voi, mio angelo e mia passione!
Baudelaire però, rassicura la sua regina delle grazie e la supplica:
Allora, o mia bellezza! dite ai vermi
che vi mangeranno di baci,
che ho conservato la forma e l’essenza divina
dei miei amori disfatti!
Non si è sbagliato affatto Cronenberg. Le Veneri agonizzanti della Specola e la sua interpretazione del loro patire sono figlie di una rappresentazione della morte femminile che, nel tentativo di squarciare il mistero, squarcia anche il corpo di cui questo mistero è stato reso vessillo.
Oltre ai corpi interi, nella mostra “Cere Anatomiche” sono esposti altri modelli in cera, tronchi femminili segati in un trionfo di ventri e cosce, uteri con feti, “pudende di una vergine adulta e pudende deflorate”.
Ed è qui che la Venere e l’excusatio non petita del “corpo bello” si disciolgono, mostrando il vero desiderio di Cronenberg, dei ceroplasti, degli spettatori: l’ossessione invasiva per il dettaglio (che poi è la definizione del desiderio scopico), l'atto penetrativo del guardare. Il guardare così tanto dall'andare oltre, oltre la barriera del pudore e dell'interezza di un corpo.
Le donne distese sui loro lettini e già “composte” nelle loro teche-bare si svestono della loro funzione didattica e si fanno sempre più simili alle vittime di delitti efferati, una fantasia di de Sade, tronchi squartati dalle mani di Ted Bundy, pezzi di carne per la seconda portata di un pasto di Hannibal Lecter.
Paradossalmente, sia il video di Cronenberg che lo sguardo dei visitatori sono portati ad assumere lo stesso comportamento di un serial killer, reale come Bundy o letterario come Lecter: intravedere l'orrore della carne, il fondo del sé dove i riferimenti cominciano a venir meno.
Ci si ritrova dunque a domandarsi se queste regine delle grazie, questi corpi che nella prima sezione della mostra mantengono comunque una compattezza, alla fine non siano altro che insiemi spaventosi d’organi, con buona pace di Deleuze.
La mostra non permette di avvicinarci troppo, non è questo ciò che Cronenberg desidera: con il suo sguardo tagliente, quasi efferato, il regista dispone sul tavolo della dissezione una delle diadi più acclamate, Eros e Thanatos, Amore e Morte. Un dualismo semplice, quasi una scappatoia per giustificare l’attrazione morbosa e il senso di disgustoso piacere che si può provare a chinarsi davanti a una teca e scavare disperatamente con lo sguardo la vulva spalancata di una statua di cera, alla ricerca dell’imene.
Così inchinati davanti al vilipendio di un cadavere che cadavere non è, nemmeno l’origine del mondo di Courbet resta. Rimane solo un busto tagliato, dei seni aperti e l’amara sensazione di pericolo - che in molte abbiamo provato - di poter essere noi i prossimi pezzi di carne prigionieri di una teca, o vittime di una penetrazione violenta, anche se solo meramente oculare.
Che sia mistica, medicina, scopofilia, necrofilia o semplice curiosità, ricordiamo infatti l’unico dettaglio che conta davvero.
Venere è morta.
Per approfondire:
Joanna Ebstein, artista e scrittrice, ha dedicato alle Veneri anatomiche un interessantissimo saggio, The Anatomical Venus. Sempre di Ebstein si segnala anche il testo The Morbid Anatomy Antology.
Qui il quadro che ha ispirato questo articolo.
Sul concetto di vulnerabilità femminile nel sistema patriarcale/capitalista, si raccomanda vivamente la lettura di “Spezzate. Perché ci piace quando le donne sbagliano” di Jude Ellison Sady Doyle ed edito in Italia da Tlon.
Maria Francesca Marras Pinna dedica alla figura di Santa Teresa d’Avila, in questo articolo trattata solo di sfuggita, uno splendido articolo su Frisson Magazine.
Un altro esempio di rappresentazione romanticizzata di un’autopsia condotta su una donna è il quadro “The Anatomist” di Gabriel Von Max del 1869. Opportuno riportare anche “The dissection of a young beautiful woman”.
Non tutte le rappresentazioni di autopsie su donne sono tuttavia sempre così lacrimevoli. Qui il quadro “The Agnew Clinic” di Thomas Eakins del 1889.
Per altri punti di vista più approfonditi sulla mostra Cere Anatomiche si segnalano gli ottimi articoli di Vito de Blasi su Esquire e di Silvia Bottani per Doppiozero.
Sempre su Doppiozero, Daniele Martino approfondisce la poetica di David Cronenberg.
A questo link è possibile vedere l’intera scena della “dissezione” di Paprika nel film di Satoshi Kon.
Qui il testo integrale della poesia “Una carogna” di Charles Baudelaire nella sua traduzione italiana.
Eleonora Casale è nata e vive a Milano. Oltre al suo lavoro nel settore Media, si occupa di ricerca nei campi della filosofia estetica, dell’antropologia, della sociologia e della semiotica, con particolare attenzione alle questioni di genere. Quando va male ammorba solo i suoi conoscenti, quando va peggio di queste ricerche ne fa degli articoli.
Ha collaborato, oltre che con Ghinea, anche con Medusa Newsletter. Puoi scriverle un’e-mail o seguirla su Instagram.
Se qualche settimana fa ti sei persx il nostro speciale su Barbie, ecco qua il nostro speciale su Barbie.
Intervista ad Annie Ernaux.
Paul B. Preciado su Virginia Woolf.
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Leyla Sanai scrive di Nothing Compares, documentario di Kathryn Ferguson su Sinéad O'Connor.
[Alt Text: fotografia a colori scattata a Sinéad O'Connor nel 2021. O'Connor fuma guardando nell’obiettivo e indossa un hijab azzurro e un maglione di lana a trecce color blu scuro. Fonte.]
Periodismo de lo posible è un podcast in dodici parti sulle lotte delle popolazioni indigene messicane, che cercano di salvaguardare i propri territori dal turismo di massa, dall’estrattivismo e dalle multinazionali dell’agroalimentare. Per ora sono stati pubblicati quattro episodi, da ascoltare nei momenti in cui ci sentiamo sopraffattx dalle notizie catastrofiche.
Cosa accade al confine tra Turchia e Bulgaria: ne parla su Melting Pot il collettivo Rotte Balcaniche Alto Vicentino, che si trova sul luogo per offrire assistenza ai migranti in cammino verso l'Europa (prima e seconda parte).
Perché il femminismo dovrebbe interessarsi alle questioni ambientali: un’introduzione.
CALENDARIO
Al Festivaletteratura di Mantova, Francesca modererà due incontri del ciclo Quattro scrittrici italiane del ‘900: “Intorno a Dolores Prato”, con Gaia Manzini e Luca Scarlini (venerdì 8 settembre) e “Intorno a Fausta Cialente”, con Melania G. Mazzucco e Emmanuela Carbé (domenica 10 settembre).
Ringraziamo Eleonora per il suo contributo. Ci leggiamo a settembre!
Un abbraccio!
Francesca, Gloria e Marzia