La ghinea di ottobre
Benvenut* al settimo numero di Ghinea, la newsletter turbofemminista che confezioniamo con amore. Il numero di ottobre è speciale perché coincide con il nostro primo incontro con.. te! Non lo sapevi? Nessun problema: Marzia ha messo nero su bianco di che si tratta, e se ti va di unirti per conoscere noi e tante altre persone, mangiare, bere e finalmente parlare di ciò che in questi mesi abbiamo soltanto scritto puoi iscriverti qua. Stanotte sarà anche la notte delle streghe, per cui durante la lettura potrebbe spuntarne qualcuna qua e là, tra un film di animazione e i solchi di un vinile. Sai dov'è che invece non ci sono né streghe né tantomeno caccia alle streghe? Nel movimento #MeToo. Abbiamo preparato una selezione di articoli e analisi che approfondiscono gli eventi degli ultimi dodici mesi e provano a ridisegnare i rapporti fra uomini e donne senza lasciar fuori le dinamiche di potere estranee al genere. Buona lettura!
Nel capolavoro di Hayao Miyazaki La città incantata, una ragazzina vive un'avventura all'interno di un complesso di bagni pubblici frequentato da yokai (spiriti) e controllato dalla tirannica strega Yubaba. Yubaba è volubile e irascibile, gode del suo potere e cerca di sfruttare chiunque incontri, e per questo è stata spesso paragonata alla Regina di Cuori di Alice nel paese delle meraviglie. Tuttavia presenta anche delle somiglianze con la yamauba, figura del folklore giapponese assimilabile alla strega che popola le fiabe dei fratelli Grimm o alla baba yaga della tradizione russa. La yamauba si aggira per le montagne spaventando i viandanti col suo aspetto e, affamata, divora bestiame ma anche essere umani. Eppure è molto di più di un semplice spirito cattivo. Al contrario, proprio come la strega creata da Miyazaki trova un doppio positivo nella sorella gemella Zeniba, la yamauba è spesso associata alla maternità e alla cura. In Folk Religion in Japan: Continuity and Change, Hori Ichiro scrive che "secondo le credenze popolari delle aree rurali, questa divinità della montagna è una dea che ogni anno mette al mondo dodici figli. Per questo è chiamata Signora Dodici (Jūni-sama) e i suoi dodici figli simboleggiano i dodici mesi dell'anno". Questo legame col materno è ancora più esplicito nella leggenda che vorrebbe che il mitico Kintaro, bambino dotato di forza sovrumana, sia stato allevato se non addirittura partorito proprio da una yamauba. E un bambino di dimensioni e possenza straordinarie è anche l'unico punto debole di Yubaba, che lo stravizia e finisce persino per piegarsi a un ricatto per lui. L'ambiguità morale di Yubaba e in misura minore anche di Zeniba è la stessa duplicità restituita dalla figura dalla yamauba, che nutre e al contempo divora, uccide e mette al mondo, depreda ed elargisce doni, lancia maledizioni e regala prosperità a chi abbia la (s)fortuna di incrociarla per qualche stradello di montagna o di ricevere una sua visita.
Nell'immagine: Kintaro, il Bambino d'Oro, sorvegliato dalla madre (probabilmente una yamauba). Kintaro è una delle figure più fortunate del folklore giapponese e continua a essere presente nella cultura popolare di ogni epoca. Appare infatti nel teatro kabuki e nel noh, oltre a ispirare ogni genere di gadget per il 5 maggio, la festa dei bambini.
A dispetto dello schiaffo subìto in agosto, le donne argentine non si fermano. Il 13 e 14 ottobre si è tenuto nella città di Chubut il trentatreesimo incontro nazionale delle donne, a cui hanno partecipato in decine di migliaia. La piattaforma che ha dominato questi due giorni di dibattiti è chiara e mette al centro l'inviolabilità del corpo contro la violenza del patriarca e quella delle terre contro la violenza del capitale, l'impellenza di conquistare diritti per tutte le soggettività e una dura critica al governo Macrì. L'incontro si è concluso con una corposa manifestazione che è poi stata repressa dalle forze dell'ordine. Diverse donne sono state pestate e/o arrestate, per poi essere liberate dopo una fitta mobilitazione di fronte al commissariato in cui erano detenute.
A spasso con Eileen Myles.
"Alla radio e nelle classifiche, però, il 2018 è stato l’anno degli inni - bonari eppure condiscendenti - all’empowerment femminile, come se lo immaginano gli uomini": Lindsay Zolads sulle hit filofemministe di Drake, Maroon 5 e Kanye West.
C'è un nuovo disco di Cat Power.
Ottobre è stato un mese denso di giornate importanti. World Mental Health Day, giornata in cui si combatte lo stigma nei confronti delle malattie mentali; Coming Out Day, ancora importante nel suo trentennale, per celebrare l’esperienza della comunità LGBTQ+ e sostenere coloro impossibilitati a danzare “fuori dall’armadio”; Intersex Awarness Day, per educare noi stessi e la nostra comunità, umanamente e legalmente.
Come si riconosce una strega, oggi.
La fotografia qui sopra, Armadillo Burial, è parte del progetto "Girl Pictures" (1997-2002) di Justine Kurland.
La caccia alle streghe è un dispositivo di controllo sociale ancora molto diffuso in alcuni paesi africani, tra cui la Nigeria. Ricorda Silvia Federici, che in Nigeria ha vissuto e insegnato a metà degli anni Ottanta: "Fu così che vidi dispiegarsi sotto i miei occhi processi molto simili a quelli che avevo studiato per Il grande Calibano. Tra questi c'erano l'attacco alle terre comuni e un risoluto intervento dello Stato [...] nella riproduzione della forza-lavoro: per regolare il tasso di natalità e, nel caso specifico, ridurre una popolazione considerata troppo esigente e indisciplinata nella prospettiva di un inserimento nel mercato globale. Oltre che di queste misure, dal nome molto appropriato di "Guerra all'indisciplina", sono anche stata testimone del fomento di una campagna misogina che denunciava la vanità e le eccessive pretese femminili, e della nascita di un acceso dibattito simile sotto molti punto di vista alle querelles des femmes del Diciassettesimo secolo, e che coinvolgeva ogni aspetto della riproduzione della forza-lavoro: la famiglia (poligama contro monogama, nucleare contro allargata), la cura dei bambini, il lavoro femminile, le identità maschile e femminile e come si relazionano". Solo che negli ultimi anni l'Inquisitore ha distolto lo sguardo dalle donne – per rivolgerlo ai bambini. I piccoli e le piccole accusati di stregoneria vengono abbandonati dalle famiglie quando non picchiati, torturati e uccisi, ma diversi pastori della Chiesa Pentecostale promettono di allontanare il male praticando esorcismi (a pagamento). Qui puoi guardare il documentario Saving Africa's witch children, oppure puoi leggere la testimonianza di Leo Igwe, che da anni si occupa del fenomeno e cerca di fermarlo.
La storia d'amore tra fascismo e sessismo ce l'ha svelata Virginia Woolf, e da allora non è ancora finita. Lo vediamo per esempio nel caso Richard Spencer, che portiamo a esempio non tanto per puntare il dito contro il mostro quanto per evidenziare che una parte non trascurabile della retorica delle destre estreme (Spencer è un nome di spicco dell'alt-right statunitense) si fonda sulla difesa delle donne dal nemico del momento, lo straniero violentatore e assassino. Argomento che potrà sembrare non certo solidissimo ma almeno animato da buone intenzioni... e invece neanche quello. La società fascista è gerarchica in ogni sua nervatura (Dio sull'uomo, l'uomo sulla donna, il bianco sul non-bianco in quella che Lakoff chiama strict father morality) e tale gerarchia s'impone con la forza: allontanare le donne dalla sfera pubblica per ricondurle alla casa e alla maternità, oltre che alla dipendenza economica dal marito con tutte le conseguenze che possiamo immaginare, è tipico di ogni regime e ne svela la misoginia di fondo. Guai perciò a farsi sedurre dall'ennesimo approfittatore che accorre sul luogo di una morte violenta e infierisce sul corpo della donna uccisa, usandolo per propalare odio razziale: quello stesso approfittatore sarà molto meno lesto nella condanna quando dovrà prendere posizione contro un uomo bianco, figuriamoci poi se in divisa. Ed è questa morale a corrente alternata a renderlo nemico di ogni donna, perché il principio dell'inviolabilità del nostro corpo non dipende certo da chi vuol metterci le mani addosso.
A proposito, dove sono le femministe?
Il mese scorso ti abbiamo suggerito un pezzo sui concetti di "libertà e perdono" in Beauvoir, e questo è il link corretto per leggerlo.
Nell'immagine: acquerello di Mary Bishop, paziente del Netherne Hospital in Surrey (UK). A sinistra, Woman with a jug; a destra, A witch with time and death (1971).
#MeToo non è una caccia alle streghe: una (parziale) lista di lettura
ovvero, altri e diversi modi di pensare il movimento #MeToo: non come una psicosi collettiva, ma la conseguenza - caotica, disarticolata, rabbiosa - di un malessere ignorato e soffocato per troppo tempo. L'attivista afroamericana Tarana Burke inventa lo slogan "Me, too" nel 2006 e ne incoraggia l'uso online per sviluppare solidarietà, empatia e riconoscimento tra le ragazze di colore sopravvissute ad abusi sessuali. Nell'ottobre 2017, in eco alle accuse mosse contro Harvey Weinstein, #MeToo diventa un appello a ridefinire i confini tra legittimo e illecito, consensuale e imposto, ripensare i termini entro cui intendiamo il dolore personale e quello civico. Una spinta a intendere il trauma del singolo come un fallimento pubblico, un passaggio dalla forma passiva - lei ha subito violenza - all'attiva - lui l'ha molestata, per rimettere in discussione le possibilità, sia manifeste che implicite, garantite dall'accesso al potere.
Lisa Ryan ripercorre la cronologia degli eventi partendo dalla pubblicazione, il 5 ottobre 2017 sul New York Times, del reportage di accusa a Harvey Weinstein a firma di Jodi Kantor e Megan Twohey.
Lindy West: "con 'un'atmosfera da caccia alle streghe di Salem' [certi uomini] intendono un'atmosfera in cui ci si aspetta si comportino con l’attenzione, considerazione e timore delle conseguenze che il resto di noi chiama semplice professionalità e rispetto per l’umanità condivisa. Per certi versi, per alcuni uomini […] nessuna ingiustizia è tanto innaturale, visceralmente grottesca quando un uomo bianco licenziato."
Jia Tolentino: "quali sono i parametri secondo cui dovremmo valutare la responsabilità dei singoli per le versioni più estreme dei loro comportamenti?"; "Non mi interessa che cosa succede al tizio di cui non ho mai sentito parlare. Non mi interessa sapere nello specifico come sarà punito sul lavoro. Quello che mi interessa è come il luogo di lavoro cambieràper evitare che cose simili accadano di nuovo. Penso che il focus sull’individuo sia inevitabile perché queste storie saltano fuori, e sono coinvolgenti e orribili, e vogliamo parlarne nei dettagli perché ancora non sappiamo per certo come interpretare questo paradigma. La vera questione è come riorganizziamo le nostre organizzazioni per avere più equità."
David M. Perry: "uomini potenti, in maggioranza uomini bianchi, non sono gli ebrei della Germania nazista, gli afroamericani prima dei diritti civili, gli eretici e le streghe davanti ai magistrati di Salem o all’Inquisizione, i sospetti comunisti davanti alla Commissione per le attività antiamericane, o dissidenti politici della Russia sovietica. Perdere un lavoro, perdere visibilità sullo schermo, perdere influenza non equivalgono alla perdita della vita o della libertà."
Dayna Tortorici: "la ridistribuzione è una faccenda difficile. Anche semplici metafore per rendere il mondo più equo - spianare il campo di gioco, ricalibrare l’ago della bilancia - corrispondono a processi complessi e laboriosi. Quali libertà si dovrebbero cedere per permettere ad altri di essere liberi? E come capirlo quando quelle libertà non sono simmetriche? Un po’ più di potere per te potrebbe significare molto meno potere per me in pratica, uno scambio che non sembrerà giusto a breve termine anche pensando al lungo termine. C’è un motivo, si presume, per cui lo chiamiamo un calcolo etico e non algebra etica”.
Laurie Penny: "il problema non è il sesso. Il problema è il sessismo, insieme alla sconvolgente moltitudine di uomini e donne che non sanno o non vogliono distinguerli. Un attacco alla sessualità, però, troverà sempre delle reclute in tutto lo spettro politico come anche dalle schiere di amorali commentatori online che muoiono dalla voglia di leggere cosa fanno le star nelle loro camere d'albergo. Un attacco al patriarcato, alla supremazia maschile e all'oppressione sessuale - quello è molto più difficile da accettare. Molto più difficile da consentire. E più facile da trasportare entro una cornice di licenziosità mentre si aspetta che la cosa si esaurisca da sé".
Sarah Jaffe: "uno degli aspetti che per gli oppositori [del #MeToo] o anche semplicemente per chi resta in un angolo a guardare sembra più difficile da afferrare è che le persone non stanno chiedendo il carcere per i predatori. Forse uno dei presupposti più profondi del movimento #MeToo è che la società in cui viviamo non ci fornisce nessuna vera possibilità di giustizia. [...] Gli strumenti di cui abbiamo bisogno non esistono ancora, e quindi dobbiamo costruirli da zero."
Rosita Pederzolli: "È una crociata a doppio senso: da un lato la strenua difesa di prodotti non più in grado di rappresentare il mondo, dall’altro la completa non ammissione di responsabilità per tale mancanza di rappresentazione. È qualcosa di sottile, la complicità."
Rebecca Traister: "Ciò che rende le donne vulnerabili non è la loro violabilità carnale, quanto i modi in cui il loro valore sia sempre stato concepito come fondamentalmente erotico, ornamentale; il fatto che non siano state prese sul serio come eguali, che siano state trattate come una ricompensa accessoria annessa ai tipi di potere che gli uomini vengono istruiti a ricercare e sono valorizzati per aver acquisito. […] Non siamo terrorizzate come una donzella vittoriana, inorridiamo come una donna del 2017 che ha creduto per un attimo di essere uguale ai suoi pari maschi, ma a cui è appena stato ricordato che non lo è, a cui è stata rivelata all’improvviso la sua relativa impotenza."; "Razzismo e discriminazione di classe determinano quali storie vengono selezionate e a quali donne si crede immediatamente. È una realtà che annebbia la soddisfazione che avvertiamo guardando uomini mostruosi perdere la loro influenza: sappiamo che è una goccia in un mare infinito."
Anna Momigliano: "forse, se questa storia ci mette a disagio, è anche perché ci sono ancora troppi non detti, troppe questioni – morali e culturali – che non sono state sollevate, o affrontate con la serenità e l’onestà intellettuale che meriterebbero. Una di queste questioni è, suppongo, il rapporto tra il garantismo e il credere alle donne. Insomma, è da secoli che ci ripetiamo che quello che distingue la civiltà dalla barbarie è che in un mondo civile si è innocenti fino a prova contraria, e adesso arriva un movimento che dice che dobbiamo credere alle donne che dicono di essere molestate. Una tensione tra questi due valori, inutile negarlo, esiste. La domanda è, c’è modo di trovare una sintesi?"
Jen Cheney:"Quello che il movimento #MeToo ci ha davvero insegnato, finora, non è che la nostra società ha raggiunto il punto in cui crediamo e sopportiamo appieno le donne che dicono di essere state vittime di violenza o molestia. Piuttosto, ci ha insegnato che siamo disposti a credere alle donne nei casi più definiti ed estremi […]. Ma anche quando davvero conosciamo la verità riguardo una situazione equivoca, alcuni di noi utilizzeranno la formula “non è così terribile” come difesa."
Tarana Burke: "Se riuscissimo a smetterla di concentrarci su chi viene accusato e a rivolgere la nostra attenzione sulle persone che hanno parlato, ci accorgeremmo che ci sono denominatori comuni che riempiono la distanza tra la celebrità e il comune cittadino: la riduzione della dignità e la distruzione dell'umanità. Ogni giorno molte persone - queer, trans, disabili, donne e uomini - vivono le conseguenze di un trauma che, nel peggiore dei casi, ha provato a privarle della loro umanità. Questo movimento, ridotto all'osso, riguarda la restituzione di quell'umanità."
Nell'immagine: le tre "weird sisters" interpretate da Susie Jenkinson, Philippa Gail e Pauline Menear in una produzione di Macbeth del 1978.
Alcune streghe sono tornate, e altre non se ne sono mai andate. Come il telefilm Streghe, o Charmed per chi l’avesse seguito appassionatamente in lingua originale, ha appena debuttato in una versione fortemente 2k18 promettendo diversità, femminismo, inclusività: il tema del femminismo e dell’azione politica è centrale nella riscrittura della serie, in maniera tanto ossessiva da risultare quasi controproducente; la questione della diversità etnica finalmente sullo schermo è stata affrontata meglio di come potremmo noi e a più titolo. Le premesse teoriche sembravano soddisfacenti ma il risultato si presenta come l’ennesimo tentativo di capitalizzazione sul tema del femminismo nella sua declinazione contemporanea. Rimane affascinante, però, l’attuazione del tema quando sfruttata in maniera più sottile (come nella descrizione dell’arte della stregoneria, un elemento innato in queste donne ma la cui tecnica va affinata con lo studio, dimostrando la coesistenza di naturale e culturale nella dimensione del femminile) o evidentemente autoironico (“being a witch is a fully pro-choice enterprise”). Anche la relazione omosessuale di una delle sorelle sembra mancare di profondità e spessore, a differenza di precedenti rappresentazioni di una sessualità non eteronormativa lì dove la figura delle streghe non era centrale. Storicamente, le streghe sono state rappresentate, negativamente, dal loro desiderio ed appetito sessuale spesso descritto deviante dalla norma. Posto che lo stesso desiderio sessuale era considerata un’anomalia da curare nel corpo delle donne, la descrizione di questa ricerca di soddisfazione carnale attraverso elementi considerati non normativi diventa fondamentale nella narrazione. Non sorprende, quindi, che, nel più vasto mondo sovrannaturale, sia la strega ad essere non eterosessuale né etero-romantica nella serie Buffy. Willow infatti sviluppa i propri poteri mentre esplora la propria sessualità con la compagna, Tara, portando così sugli schermi una interessante evoluzione dell’intimità tra due donne in una relazione affettiva e sessuale. L’orientamento sessuale e romantico di Willow, che si sviluppa nell’arco delle sette stagioni, è decisamente come non conforme, e la protagonista di questa esperienza ne affronta l’evoluzione compiendo una profonda ricerca sulla propria esistenza ed essenza, traendo forza e potere (letteralmente) da questa capacità di scoprirsi e manifestarsi. La parabola tristemente però si conclude con il topos della morte di una delle componenti della coppia gay, e se ci fosse un geeky interest da parte vostra, come quello che probabilmente avrebbe sviluppato Willow, se ne dice meglio qui. È tornato anche sul tema delle streghe Ryan Murphy, con un cross-over tra la prima e la terza stagione: quest’ultima, già nel 2013, aveva dedicato l’intero arco narrativo a un cast di donne e magia. American Horror Story: Coven, alla maniera solita di Murphy e dei suoi collaboratori, aveva già combinato la tradizione televisiva sulla magia femminile con elementi contemporanei di rilievo. Ambientata a New Orleans, in una linea temporale mista e una coesistenza spaziale di vivi e non-vivi, anche questa stagione – come ogni lavoro di Murphy – gioca sulla linea tra l’ovvio e il prevedibile come forma narrativa intenzionale. Non sempre in maniera riuscita, come per il caso della torturatrice razzista Madame LaLaurie (magistralmente interpretata da Kathy Bates), le cui forme di violento sadismo nei confronti degli schiavi che possedeva vengono rappresentate al dettaglio, portando a domandarsi se si possa adottare una visione camp sulle tragedie storiche? Possiamo dire come Sontag "it's good because it's awful" di realtà talmente aberranti che il loro orrore è ovvio prima ancora che disturbante? Dove la storia ha mancato di punire ed educare, sono subentrate rispettivamente due figure fondamentali per la riflessione razziale in Coven: la regina voudou Marie Laveau (Angela Bassett), della quale non vengono investigate e rappresentate le interessanti connotazioni etniche e storiche o le pratiche di commistione cattoliche e spiritualistiche, e la bambola-voodoo umana Queenie (Gabourey Sidibe), personaggio in tensione tra la sua scelta di adesione consapevole alla congrega e l’estenuante lavoro di affermazione in un contesto di ‘white sorority’. Queenie fa parte di una congrega di streghe che sono dirette discendenti di Salem, composta da altre tre ragazze della sua età: Nan (Jamie Brewer), Madison (Emma Roberts), e Zoe (Taissa Farmiga). Una generazione massacrata dai cacciatori di streghe (tutti maschi), che affronta i propri problemi generazionali e si confronta con quelli delle generazioni precedenti. La violenza sessuale di gruppo subita da Madison e tenuta segreta come fosse una colpa, la vendetta immediata e la depressione post-evento; la sessualità assassina di Zoe, costretta a moderare i propri desideri e trovandosi di conseguenza a operare similmente a quelli affettivi; l’abilismo e il pietismo che subisce Nan considerata eterna bambina, cosa che viene assolutamente smentita. Fiona (Jessica Lange), che non vuole lasciar andare i propri poteri e, soprattutto, la propria giovinezza (ageism), e che sembra trovare più dolorose le rughe sul volto e le mani che mostra in pubblico che la malattia ancora invisibile, e Cordelia (Sarah Paulson), che si sente minata come donna per via dell’infertilità, e come strega per non trovare rimedio a quello che vive come un difetto. Complicato è anche il rapporto con le madri: la madre naturale, che deve essere uccisa perché Cordelia possa comprendere la propria natura, e la figura materna (Myrtle) che si sacrifica perché quella natura possa realizzarsi. Come già detto, la soluzione narrativa di Murphy tende costantemente al camp, e quando questa esagerazione non riesce a dovere si fa quasi didascalica ma bisogna riconoscere a Coven una capacità concreta di aggregazione. Il desiderio di Murphy è quello di dare sollievo e protezione alle comunità minacciate, e la scelta di Cordelia di portare in televisione la verità sull’esistenza delle streghe è il coming out di cui molti avevano bisogno. “It’s not a choice be a witch, it’s who we are. […] There are so many young witches who have resisted their calling because they’re afraid […] when you hide in the shadows you are less visible, you have less protection. We’ll always be target for the ignorants.”
EVERYONE, WITCH UP!
Nell'immagine: Summer Camp Island, qui un'intervista con la creatrice Julia Pott.
Nella Ghinea di settembre abbiamo lasciato qualche storia in sospeso. La più importante è la conferma di Brett Kavanaugh a giudice della Corte Suprema, che si è svolta in modo grottesco e umiliante un po' per tutte le persone coinvolte. L'agognata indagine dell'FBI c'è stata ed è stata richiesta dal senatore Jeff Flake (eccolo qui mentre non riesce a guardare negli occhi una donna sopravvissuta a uno stupro che gli chiede perché le esperienze delle donne aggredite non contano niente), ma si è trattato di una vera e propria farsa: si è svolta in una settimana, né Kavanaugh né la dottoressa Ford sono stati ascoltati e il resoconto è stato trasmesso soltanto al Senato. Nessun dettaglio pruriginoso e violento è stato nascosto durante l'udienza a Ford e Kavanaugh, nessuna lacrima e nessuna esplosione di rabbia sono sfuggiti alle telecamere, ma la parte di autentico interesse pubblico rimane inaccessibile. È stato possibile stabilire se quest'uomo ha aggredito una ragazza? È vero che ha mentito sotto giuramento (spoiler: sì)? Se tu fossi un cittadino o una cittadina statunitense, vorresti saperlo?
Grazie infine alla senatrice repubblicana Collins, che ha sciolto la propria riservadopo un periodo di indecisione (a ricordarci che il criterio del genere, assunto da solo, non significa nulla ed è anzi fuorviante nel determinare presunti obiettivi comuni a tutte le donne), Kavanaugh è in tutta serenità approdato alla Corte Suprema, dove la sua presenza risulta ancora più problematica dopo lo show di cui abbiamo riferito il mese scorso. Tra poco, infatti, Kavanaugh potrebbe essere chiamato a decidere se il Presidente degli Stati Uniti sia o meno soggetto alla legge durante il suo mandato, e lo farà dopo essersi esposto dichiarando che il suo avanzamento di carriera è stato ostacolato da una truffa del Partito Democratico. Nel momento in cui si è smesso di parlare della sua inadeguatezza etica al ruolo che ora ricopre, sarebbe stato utile aprire una discussione su quella politica.
Se le giornaliste culturali, infatti, scrivono il 30% in meno dei colleghi, le scrittrici recensite sono il 24% in meno degli scrittori. In particolare, sul totale delle recensioni sono 64 le autrici recensite (il 38%) contro 107 autori (62%), e le firme sono per il 35% femminili e per il 65% maschili.
inGenere ha dato un'occhiata a chi scrive sugli inserti culturali italiani, e a proposito di cosa.
Un viaggio velocissimo nella storia dell'autoerotismo femminile.
Nell'immagine: Egon Schiele, Ragazza che si masturba (1910)
Dopo il successo di Verona, Fratelli d'Italia ha presentato anche a Ferrara e Romadue mozioni per il sostegno alla maternità e la prevenzione dell'aborto, con tanto di proposta di dichiarare entrambe le città a favore della vita (il 25 ottobre una mozione analoga è apparsa in consiglio comunale milanese, proposta da Forza Italia, il 23 la Lega si è mossa a Sestri Levante). Non ci soffermiamo troppo sulla scelta di parole, che implica senza nemmeno nascondersi troppo che al momento le due città si trovino in una posizione neutra rispetto alla vita e alla morte se non direttamente a favore della morte, ma solo perché il contenuto è peggiore della forma. Leggiamo nel testo ferrarese che la legge 194 «ha condotto all'aumento del ricorso all'aborto quale strumento contraccettivo» e non ci serve nemmeno guardare i dati perché questa frase non ha alcun senso: la contraccezione è uno strumento che previene e dunque precede la gravidanza mentre l'aborto la interrompe. Certamente agli antiabortisti conviene confondere le acque in questo modo, usando le due parole come se fossero sinonimi (di qui la generale credenza che la pillola del giorno dopo sia un farmaco abortivo quando è un contraccettivo d'emergenza) e promuovendo così una diseducazione sessuale più che dannosa nel momento in cui una donna, di fronte a un medico o un farmacista, non è sicura dei suoi diritti e di come farli valere. La mozione prosegue imputando alla legge 194 di non aver «debellato l'aborto clandestino» (c'entreranno forse qualcosa i 7 medici obiettori su 10? La distribuzione dei consultori a macchia di leopardo sul territorio nazionale? La difficoltà di reperire la RU486?). Tutto il testo inquadra inoltre l'aborto come una soluzione a cui ricorre la donna disperata, magari in difficoltà economiche che le impediscono di portare avanti la gravidanza o non sufficientemente informata sulle ricadute fisiche e psicologiche di un'interruzione. Questa narrazione della donna vittima del suo stesso aborto, purtroppo dominante anche in alcune aree a favore della 194, deve essere contrastata con ogni mezzo. Come scrive Chiara Lalli, «[i]l trauma necessario è un argomento paternalistico per eccellenza: “voglio impedirtelo per il tuo bene, per evitarti il dolore e il rimpianto”» e per soprammercato elide dall'esperienza dell'aborto la possibilità di non voler essere madre (in quel momento o mai) a prescindere dal reddito o dalla presenza di un compagno. Anche di tale invisibilità si nutre la delegittimazione della scelta razionale. Dando per scontato che nessuna donna adeguatamente seguita e aiutata prenderebbe una simile decisione si rafforza infine il legame esclusivo e ineludibile tra femminile e materno che le nostre madri e nonne hanno tanto lottato per sciogliere. Il tentativo di arretramento, dunque, non è solo normativo ma anche e soprattutto culturale e ciascuno di questi due piani è sorretto e a sua volta dà slancio all'altro.
Il quadro è triste, ma c'è una buona notizia: stiamo reagendo. Il 13 ottobre eravamo in cinquemila a Verona, alla manifestazione organizzata da Non Una Di Meno per farci sentire e mettere in chiaro che queste politiche sono per noi odiose e inaccettabili. Il 22 e il 25 ottobre si sono tenuti degli affollati presidi NUDM a Roma, dove però il voto alla mozione è slittato a data da destinarsi, e anche novembre sarà un mese denso di impegni che culmineranno nella mobilitazione nazionale del 24 novembre e che puoi consultare qui o qui, magari approfittandone per leggere il report dell'assemblea nazionale del 6 e 7 ottobre (evento che, testimonia Gloria, Lea Melandri ha commentato il lunedì successivo sentenziando: «Queste durano»). Fischi e contestazioni anche per Simone Pillon, autore del ddl sull'affido condiviso molto ben analizzato qui.
Come mai i gruppi femministi si richiamano spesso all'immagine della strega? "Fu nei roghi e nelle camere di tortura, che si costruirono i principi borghesi di femminilità e di domesticità così utile, oggi, alle nostre società – dicono le partecipanti Sangre Fucsia. Le morti sul rogo erano lezioni per le sopravvissute, come rileva Federici nel suo libro, donne che per paura di essere considerate streghe adottarono un nuovo ruolo sottomesso, obbediente, passivo e domestico e nel quale il desiderio sessuale era sinonimo di vergogna e di colpa".
Nell'immagine: attiviste contemporanee del gruppo W.I.T.C.H.es, ispirate dall'originario collettivo W.I.T.C.H. "Women’s International Terrorist Conspiracy from Hell", fondato a New York nel 1968 . Entrambi i gruppi adottano il costume da strega per garantirsi l'anonimato.
FATTO DA NOI
Per la rubrica #lapoesiaèmorta che Pippo Balestra cura su inutile, la poetessa del mese è Francesca Genti. Qui puoi leggere (o farti leggere da Francesca stessa) Io sono una, e qui Adriano.
Visto che ogni mese diamo uno o più consigli d'ascolto, ci siamo dette: ma perché non riunirli? Magari in una playlist?
UNA CANZONE
Nell’autunno del 1974 Stevie Nicks apre a caso le pagine di un libriccino - un romanzetto intitolato Triad. A Novel of the Supernatural scritto da Mary Bartlet Leader - e legge il nome “Rhiannon”. Decide all’istante di scrivere una canzone per quel nome, e quando il suo compagno Lindsey Buckingham entra nella stanza dice “dobbiamo andare al parco a registrare il suono degli uccellini che si svegliano”. A stesura conclusa, leggenda vuole in dieci minuti, Nicks scopre che nella mitologia celtica Rhiannon è una dea amazzone, evemerizzata nel “primo ramo” del Mabinogi (una raccolta di prose altomedievali in gallese medio) nella figura di una fata. Nel ciclo gallese, Rhiannon è accompagnata da tre uccelli magici, gli “Adar Rhiannon”, corteggia il protagonista della storia e si libera del precedente promesso sposo chiudendolo dentro la sua incolmabile borsetta stregata. Qualche anno più tardi, dal beauty da viaggio di Nicks sarebbe spuntata una copia di The Children of Llyr di Evangeline Walton, romanzo fantasy del 1971 basato sul ciclo gallese del Mabinogi.
Nell’inverno del 1974 Lindsey Buckingham accetta di diventare il nuovo chitarrista della band inglese, ma trapiantata in California, Fleetwood Mac, a patto che anche la sua fidanzata cantante venga accolta come membro. Rhiannon, inserita nell’album Fleetwood Mac del 1975, diventa uno dei singoli di maggior successo della band, un passaggio fondamentale verso l’enorme popolarità dell’album del 1977, Rumours. Nei live, la stessa Nicks la introduce come a song about an old Welsh witch. Una strega, però, che non c’è: Rhiannon “trilla come una campanella nella notte”, dall’essere “come un gatto nel buio” diventa l’oscurità stessa, vive per aria “come un uccello in fuga”, e il ritornello, composto solo dal nome Rhiannon ripetuto, ne è l’invocazione disperata. Nella trasognata versione in studio, Rhiannon finisce in un fade-out fatto a strati di soffusi Taken by, taken by the sky / Dreams unwind / Love’s a state of mind. Invece, nella tortuosa coda apposta ai live dopo l’assolo di chitarra di Buckingham, Nicks innesca un mantra per cui Love’s a state of mind / Dreams unwind viene inasprito dall’affermazione And love is hard to find, insieme alla supplica Take me like the wind, now / Take me with the sky: una performance che Mick Fleetwood considerava “un esorcismo”.
“Stevie Nicks: lilith or bimbo?” si chiede, nel 1981, Lester Bangs in una sua (perfida e geniale) recensione del primo album solista di Nicks, Bella Donna: “prendiamo la copertina: se ti ritieni una strega, probabilmente ti puoi considerare parte dell’elettorato di Stevie, e magari nemmeno ti importa che ti stia facendo il dito medio dal retrocopertina”. L’estetica di Nicks è iconicaperché frantumabile nelle sue singole componenti - gli scialli, le maniche di tulle, le sottane a balze, il nero, i gioielli a forma di luna crescente e i copricapi giganti in bilico sulla zazzera riccia - e sempre ricomponibile senza (troppo) aiuto da parte di assistenti di backstage. Lester Bangs rincara “che razza di strega si mette scarpe con le zeppe?”: quella che ha bisogno di portare sempre con sé un grammo di cocaina dentro lo stivale, e che canta della sua dipendenza in Gold Dust Woman, ma anche di archetipi femminili come in Gipsy, o del suo aborto in Sara. Amanda Petrusich nota come “mentre le scelte sartoriali di Stevie Nicks sono state ampiamente imitate, è raro ascoltare echi della sua magnanimità nelle moderne canzoni pop, che spesso appaiono sulla difensiva e sotto assedio, e predicano l’autosufficienza ad ogni costo”. Se Stevie Nicks sale sui tacchi è per volare via, come Rhiannon “quando il cielo è senza stelle”.
UN LIBRO
È difficile reperire i racconti del mistero e del fantastico di Kurahashi Yumiko (1935-2005), scrittrice giapponese paragonata a Ōe Kenzaburō (vincitore del premio Nobel 1994), sottovalutata dalla critica giapponese e accusata di plagio, eterna seconda ai premi letterari più importanti, ma vincitrice di quelli dedicati alla “letteratura femminile”. Studiosa di letteratura francese, nelle sue opere riferimenti alle culture classiche del Giappone e della Cina si mescolano a tecniche sperimentali, alla satira politica e ad adattamenti del marriage plot austeniano. Una selezione delle sue antologie di racconti esiste in traduzione inglese, grazie alla quale abbiamo potuto leggere The Witch Mask, storia di un’antica maschera stregata che si incolla al volto delle malcapitate amanti del protagonista; The Woman with the Flying Head, in cui un patrigno abusa del corpo della figlia adottiva quando la sua testa vola di notte alla finestra dell’amato; The House of the Black Cat, in cui il fatto che una una donna-gatto mangi omelette seduta a tavola la rende automaticamente un'appetibile partner sessuale. I racconti di Kurahashi adottano lo stratagemma del sovrannaturale per mostrare il vero orrore: la potestà maschile che dà per scontato l’accesso e lo sfruttamento, anche violento, del corpo femminile, senza mai diventare la causa di un cortocircuito etico.
UN FILM
Witch's Cradle di Maya Deren (1943)
Devota alle anfetamine per non sprecare tempo dormendo, Maya Deren - danzatrice, cineasta sperimentale, gattara - muore appena quarantenne nel 1961. Nella sua filmografia, composta da una manciata di cortometraggi muti, suggerisce lo stato di trance ancora prima di interessarsi al voodoo haitiano e inscena partite a scacchi sulla spiaggia già nel 1944. Lo stesso anno in cui realizza il suo corto più celebrato, Meshes of the Afternoon, Deren rielabora, con l’aiuto di Marcel Duchamp, le sue esperienze con l’occultismo sullo sfondo dell’allestimento sperimentale nella galleria newyorchese di Peggy Guggenheim Art of this Century. Il progetto di Friedick Kiesler prevedeva che le opere del Surrealismo europeo comparissero all'osservatore appese a fili, all’interno di stanze oscurate e dalle pareti curvilinee. La “culla delle streghe” nasce come metodo di tortura all'epoca delle persecuzioni alle streghe in Europa, e prevede che l’accusata sia legata dentro un telo, appesa al ramo di un albero e fatta dondolare, procurandole deprivazione sensoriale e, di conseguenza, allucinazioni e alterazioni di coscienza. Una pratica, pare, in seguito reclamata dalle stesse “streghe” per ricercare simili sensazioni psichedeliche. Il corto Witch’s Cradle è incompiuto, e spesso è ritenuto un film perduto: il filmato a noi disponibile mostra gli stadi di coscienza di una figura femminile alle prese con spaghi animati e superfici riflettenti, all’interno uno spazio occupato da ragnatele di corda che rievocano l’installazione di Duchamp per la mostra First Papers of Surrealism. Deren filma anche i diversi ritmi di palpitazione di un cuore umano, e imprime sulla fronte dell’attrice Pajorita Matta un pentacolo inscritto nella frase concentrica “the end is the beginning is” (per coincidenza simile all’incipit di East Coker, il secondo poema dei Four Quartets di T.S. Eliot, pubblicati in volume unico proprio nel 1943). La “strega” di Witch’s Cradle esiste, in accordo con la poetica filmica di Deren, dentro una struttura “verticale”: le immagini si rincorrono e si impilano allo scopo di indagare la sensazione di una situazione, piuttosto che la linea dei fatti, la profondità del misticismo della strega persa dentro una galleria d'arte piuttosto che la storia materiale dei suoi simboli occulti.
UNA POESIA
Kiki Petrosino è poetessa e professoressa di inglese e scrittura creativa di origine italo-afroamericana. “Witch Wife” è una “villanelle slegata” che da il titolo alla terza raccolta poetica di Petrosino (Witch Wife, 2017) : I’ll conjure the perfect Easter e my pink gloves & your green gloves - rispettivamente il primo e il terzo verso della terzina introduttiva - si ripetono, alternati, in conclusione di ogni strofa successiva, presentando una minima differenza in ogni terzina, in contrasto con la norma metrica della forma villanelle. L’incantesimo di Petrosino proietta una scena domestica sul finire dell’inverno, mescolando gradazioni di verde e rosa con gli oggetti di cucina di una strega-moglie, ma anche quale-moglie?, sia una pia casalinga al lavoro che una fattucchiera del cui potere non possiamo conoscere l’ampiezza.
Witch Wife
I’ll conjure the perfect Easter
& we’ll plant mini spruces in the yard—
my pink gloves & your green gloves
like parrots from an opera over the earth—
We’ll chatter about our enemies’ spectacular deaths.
I’ll conjure the perfect Easter
dark pesto sauce sealed with lemon
long cords of fusilli to remind you of my hair
& my pink gloves. Your gloves are green
& transparent like the skin of Christ
when He returned, filmed over with moss roses—
I’ll conjure as perfect an Easter:
provolone cut from the whole ball
woody herbs burning our tongues—it’s a holiday
I conjure with my pink-and-green gloves
wrangling life from the dirt. It all turns out
as I’d hoped. The warlocks of winter are dead
& it’s Easter. I dig up body after body after body
with my pink gloves, my green gloves.
Ogni mese ci tocca chiudere Ghinea con una nota più negativa del mese precedente. Mentre scrivevamo le ultime righe qualcuno entrava in una sinagoga statunitense e si metteva a sparare mentre qualcun altro, un uomo spaventoso, veniva eletto presidente del Brasile. Ne riparleremo. Nel frattempo ti abbracciamo, e speriamo di vederti questa sera o sentirti attraverso i vari canali (mail e social) che trovi sotto la firma.
Francesca, Gloria e Marzia