La ghinea di marzo
Benvenutu a Ghinea, la newsletter in attesa della terza stagione di Bridgerton. Questo mese ospitiamo per la prima volta Antonia Caruso, scrittrice, editrice e attivista transfemminista. Antonia si interroga sulla valenza politica della lettura e sull’utilità di tutti i libri che acquistiamo e/o leggiamo. Inoltre, torna Simona Iamonte e ci propone un profilo della versatile artista venezuelana Sol Calero. Buona lettura!
How to be sexy and grumpy with a an unreadable stack of books
di Antonia Caruso
Sono mesi che mi chiedo: ma poi i libri saranno utili?
Non in generale, utili per capire il senso della vita e dell’universo tutto – ma insomma anche lì qualche indizio secondo me potrebbero pure darlo – o utili nel senso di immediata applicazione pratica, per quello ci sono i manuali, di ogni tipo, non tutti funzionano e non so quante persone abbiano smesso di fumare pur sapendo come farlo.
Utili in un percorso di liberazione – quella che credo debba, non proprio come imperativo, venire prima e durante la lotta politica transfemminista. Non applicabile nel senso di istruzioni, fai così, ma solo dopo aver fatto questo e questo (come alcune pensano funzioni il consenso durante un rapporto amoroso). Quelle non le ha nessuno. Intendo come pratica politica, cose che si fanno con una certa prospettiva.
Date le peculiari caratteristiche psicoemotive di clausura e disperazione, forse introspezione, di questo periodo, forse non è il momento giusto, o forse è quel mélange appunto di disperazione, clausura e introspezione che mi permette di accasciarmi in posizione semisdraiata di pormi certe domande. Me lo chiedo da lettrice forte, scrittrice (posso dirmi?), criptoeditrice e attivista, lettere stampate sulle cornee e senza sensibilità sulle dita se non per supporti cartacei, sul resto non ho presa. Me lo chiedo dall’interno della mia bollabunker, social-cartacea. Sono di parte, come un’amante delusa.
Credo proprio, lo credo fermamente, che la forma-libro sia il modo migliore per esporre un pensiero complesso, lungo, argomentato, asincrono. Si può leggere nel tempo che si ritiene necessario o possibile. Il fatto è che non a tutte piace leggere, non tutte hanno il tempo. Non c’è bisogno di pressare per una nuova norma. Certo sarebbe meglio, certo sarebbe un mondo migliore. I libri poi non hanno bisogno di intermediazione, non dovrebbero. Si può prevedere un margine di incomprensibilità, di mistero, di ambivalenza.
Alla fine i protestanti, a parte che avevano strane idee su quel libro specifico, non avevano tutti i torti.
Ma, ma, ma ci sono molti fattori per cui non penso al momento attuale il libro in sé possa essere uno strumento efficace.
I dati AIE sui consumi di lettura già ci danno un’idea di come il libro in sé sia una cosetta per molti ma non per tutti. Legge chi ha una laurea e legge chi è al centro-nord. Se poi ci siano persone del sud che leggono dopo essersi spostate al nord non è ancora dato saperlo, la tripatrizione classica che marca i territori e dimentica la mobilità delle persone.
È anche evidente quanto senza una certa scolarizzazione, cioè almeno scuola superiore + laurea breve, si legga poco o comunque meno. E quindi andiamo già a escludere una enorme fetta di persone. C’è un problema di classe, lo possiamo dire.
Nonostante ciò le case editrici nell’ultimo anno hanno incrementato di quasi un quarto le novità. Nel 2021 ci sono state 85.551 novità editoriali, un binge printing impressionante. Un’utopia editoriale in cui ogni abitante di una città di medie dimensioni come Catanzaro o Treviso possa avere una novità editoriale tutta per sé.
Neanche le biblioteche riescono ad acquisire una tale montagnosità di carta ogni anno. Le biblioteche ascoltano, sanno ascoltare quando vengono fatti dei suggerimenti, dovrebbero capire cosa richiede l’utenza (dipende da chi ci lavora anche).
Con una tale possanza di pubblicazioni servirebbe anche una critica editoriale forte per non perdersi, una critica posizionata, anche ingenua, di quel candore di chi si è appena svegliatx. Ma anche questo sarebbe un lavoro e dovrebbe essere retribuito, con i soldi veri.
Non basta che ci sia una donna che scrive di sesso o di donne al potere per essere femminista. Il femminismo più che un tema dovrebbe essere un modo.
Nell’editoria poi ci si muove sempre in un terreno di relazioni fragili, salamelecchi, conoscenti, colleghx, minuetti, potenziali committenti. Le critiche possono non piacere, le critiche è difficile che piacciano. Le critiche ti possono portare all’esclusione.
Non sempre le lettrici politiche sono pronte a determinati argomenti, non per impreparazione o superficialità, ma per i discorsi possibili in cui si è immerse. Antirazzismo, ecologia, diritti civili, diritti riproduttivi, anticapitalismo… Non si può stare in tutti i discorsi, avverto la sottile pretesa di dover sapere tutto su tutto. Stimoli cognitivi ovunque, e per fortuna nessun sensore psicocinetico che monitori le sinapsi.
I temi della politica – la politica dal basso, si intende – non sempre sono sincronizzati con i temi delle pubblicazioni. Hanno orbite diverse.
Può succedere se vien tradotto e pubblicato un testo dall’estero. Un esempio è bell hooks. Quando è stata pubblicata la prima volta alla fine degli anni ‘90 – Feltrinelli ha pubblicato Elogio del margine nel 1998 e Tutto sull’amore nel 2000 – in Italia il discorso antirazzista non era consolidato come ora (non so dire esattamente com’è stata recepita perché ero in un altro mondo, quello dell’ignavia). La seconda ondata di pubblicazioni e ripubblicazioni ha fatto diventare bell hooks un piccolo caso editoriale (nonostante abbia pubblicato negli USA più di trenta libri) o presunto tale.
Oltre ai libri esiste tutto l’apparato di contorno, presentazioni, interviste, articoli, come delle estensioni dei libri stessi e lo arricchiscono come spezie, a volte insapori, a volte no. Il raggio d’azione è piuttosto corto. Arriva a chi si occupa di libri. Il raggio d’azione dei libri arriva a chi si occupa di libri, e poi un po’ più in là.
Un sistema basato molto sulla promozione delle novità – la maggior parte delle quali saranno dimenticate fortunatamente nel giro di qualche mese, se non qualche settimana – e poco sul catalogo che riemerge il mese degli sconti. È tutto un lavoro di ufficio stampa e giochi di prestigio tra quello della testata e quello della casa editrice. In questo scenario si sono introdotte come polo indipendente ma leccatino gli/le bookblogger, teoricamente alfier* della critica dal basso più militante e sincera.
La classica presentazione del libro con la figura autoriale incensata e riverita credo sia superabile in qualcosa di meno frontale e gerarchico.
Altra cosa da considerare è che una parte delle pubblicazioni di saggistica viene dall’accademia, dove spesso le ricerche seguono traiettorie diverse, non sempre adeguate o conformi al mercato. Senza contare un mercato interno dei libri in programma d’esame.
Per non parlare delle tesi di dottorato che vengono pubblicate a pagamento da case editrici, anche considerate anticapitaliste e di sinistra. La pubblicazione non segue alcun criterio commerciale ma segue l’eventuale campo di ricerca del docente o della docente che accetta di seguire un determinato progetto.
Non sempre il linguaggio è accessibile, non infrequente è la scrittura noiosa.
A volte serve, a volte non serve. Le pubblicazioni accademiche non devono intrattenere, non devono vendere, non devono essere frizzanti e leggiadre. Devono esporre una ricerca. Il problema semmai è che non venga riconvertita e resa accessibile, perché è ulteriore lavoro, sempre da retribuire, sempre con soldi veri.
[Alt Text: copertina del libro Come essere sexy anche con gli insetti tra i denti. Manuale per la donna motociclista di Trisha Yeager. Una donna in abito bianco e un fiore rosso tra i capelli posa per la fotocamera su una moto dagli stessi colori parcheggiata in campagna.]
L’editoria rimane in ogni caso un settore economico oltre che culturale. Si pubblica ciò che si vende o che si spera di vendere o che si suppone debba vendere. Se si vendono i fumetti, ed è uno dei settori che è cresciuto di più negli ultimi due anni, si pubblicano più fumetti. Le biografie a fumetti, per esempio, sono un buon compromesso tra l’esigenza di una storia forte e quella di velocità di scrittura. Le biografie a fumetti, per esempio, raffigurano sempre personaggi forti, figurare in un certo senso da venerare. Ed è subito mito-mania (nel senso di atteggiamento maniacale volto alla ricerca spasmodica di miti fuori dal sé).
Se si vendono libri sul femminismo, si pubblicano libri sul femminismo.
Rimanendo sul tema soldi veri con cui comprare altri libri, l’assistenza del pc, l’osteopata, l’editoria è anche un settore professionale dove vige un certo precariato, senza troppe tutele. La catena di produzione di un libro finisce spesso sulle spalle dei freelance. Per non perdere un lavoro spesso chi è freelance subappalta il lavoro. Rimangono avanzi e mal di schiena. L’enorme incremento dei nuovi titoli avrebbe potuto portare un aumento delle possibilità di lavorare, forse ha portato un aumento dei lavori mal pagati. I contratti di quella che dovrebbe essere formazione come stage curriculari ed extra-curriculari spesso nascondono del lavoro sottopagato. Le partite IVA, poi, piccole stelle silenziose, non sono adatte al lavoro di cura dei testi, da tirare a lucido. O forse sono le deadline o forse sono più deadline.
Poi la logistica, i muletti, i colli, i cartoni di libri, i corrieri, le firme digitali, le bolle di accompagnamento. Amazon ha innalzato la logistica a perno centrale del suo fatturato, togliendo di mezzo le librerie e si sa che i diritti non contano molto, a meno che non abbiate vesciche molto capienti. Più della metà del prezzo di copertina va agli operatori dell’intermediazione, quindi distribuzione e, a scendere, librerie. Sempre che non diventino delle holding che comprendono tutto, come Feltrinelli.
Quindi si può dire che lavorare in editoria non sia in sé un luogo virtuoso e che le condizioni di lavoro non permettano molto. Questo non vuol dire che non esistano piccole case editrici che provano a fare dell’editoria femminista qualcosa più di un catalogo, come Settenove, Asterisco, Eleuthera, Eris, effequ, capovolte. Altre le ho dimenticate, altre le ho volontariamente omesse.
Il libro quindi, lo dico con una certa romanticheria, è un luogo privato e personale. Se il personale è politico – non che lo sia come dato di fatto ma come interpretazione – anche il privato è politico e non solo il pubblico. Il privato del pensiero e dell’elaborazione, della ricerca. Come scrive Sara Ahmed in Vivere una vita femminista riguardo ai libri: “A volte abbiamo bisogno di distanza per creare un pensiero. A volte abbiamo bisogno di rinunciare alla distanza per seguire quel pensiero.” Nella stessa pagina e in quella seguente parla di testi compagni.
L’editoria femminista non dovrebbe essere solo l’output di un tema, cosa che fanno già parecchi editori che stanno cavalcando l’onda non sapendo a cosa vanno incontro, cioè la creazione di una coscienza politica di quello che non funziona, ma una messa in discussione radicale dei meccanismi della produzione di sapere e dei rapporti e delle condizioni di lavoro. O almeno è quello che mi piacerebbe che fosse.
A questo punto e al netto di tutti questi fattori cosa si può fare?
Uno dei vantaggi, anzi il Grande Vantaggio dei libri stampati, era la riproducibilità tecnica. Dal momento che da non troppi anni la riproducibilità lo-fi è arrivata anche agli audio e ai video è possibile pensare di rimettere al centro la complessità del pensiero anche senza la stampa. Pur non essendo una grande fan degli audiolibri, una proposta è: audiolibri, un settore che è già in crescita. Non ho scoperto niente di nuovo. Per chi lavora, per chi non può leggere mentre guida, per chi non ama leggere, per le persone dislessiche, per chi ha problemi di attenzione.
Poi comunque la pirateria aumenta, nel bene e nel male. Che ne è stato dei vecchi lerci porosi paperback da edicola?
Durante la pandemia è stato tutto un tripudio di lezioni, incontri online, gruppi di lettura e poi tutto si è dissolto in un ritorno a una “normalità”, eppure ci sono stati guizzi di possibilità. È possibile riprendere il meglio, come ad esempio un certo tipo di formazione a distanza, come ad esempio quel Sud sopracitato o tutto ciò che è lontano dall’asse ancora quasi monarchico Torino-Napoli?
I gruppi di lettura sono belli, pensati più o meno per le lettrici forti (quelle che portano avanti mezzo mercato). È possibile pensare anche di leggere un libro solo in un arco di tempo di mesi? È possibile pensare a delle letture che coinvolgano le persone di cui si parla nel libro e che magari non hanno accesso facilitato? C’è un discorso di responsabilità nel pubblicare determinati libri. Il compito di chi stampa può arrivare fino a un certo punto, poi ci dobbiamo mobilitare noi. Chi sia questo noi non sta a me indicarlo.
Se la la domanda iniziale è se i libri sono utili, la risposta che mi posso dare finora è insomma.
Antonia Caruso, editorialista, scrittrice e attivista trans/femminista. Ha curato l’antologia Queer Gaze per Asterisco Edizioni e pubblicato LGBTQIA+ - Mantenere la complessità per Eris Edizioni, oltre a prefazioni e articoli per Jacobin Italia, effequ, Moscabianca, Meltemi e Future Fiction. La trovi anche su Instagram.
Su Il Femminismo tradotto, puoi leggere un’intervista ad Aurore Koechlin:
La teoria della riproduzione sociale mostra che se le donne e le minoranze di genere sono oppresse non è a causa di una semplice oppressione ideologica che sarebbe perdurata fino ad ora (una sorta di reminiscenza di tempi antichi). Mostra anche come questa oppressione non sia accessoria al capitalismo e come il capitalismo non avrebbe potuto essere indifferente al genere. Se questa oppressione esiste è perché ha una base materiale e quest’ultima è necessaria al capitalismo. Questa base materiale è l’assegnazione delle donne e delle minoranze di genere a un tipo di lavoro specifico basato sul genere: il lavoro riproduttivo. Il lavoro riproduttivo consiste nel produrre e riprodurre la vita, ovvero produrre lavoratori e lavoratrici nel quadro dell’economia capitalista. Detta con un più alto livello di astrazione e utilizzando le categorie marxiste, il lavoro riproduttivo è ciò che produce e riproduce la forza lavoro. Bisogna sottolineare che non si tratta di un lavoro centrato sulla biologia; al contrario, i compiti essenziali a questo tipo di attività non sono di tipo biologico. Anche quando il lavoro riproduttivo include dei processi biologici, questi sono marcati dal sigillo sociale, da cui il termine «riproduzione sociale».
[Alt Text: copertina di La révolution féministe di Aurore Koechlin (2019), a oggi inedito in Italia. La copertina raffigura un pattern formato da braccia che tendono il bicipite e stringono il pugno, che intende probabilmente richiamare il famoso manifesto “We Can Do It!”.]
A seguito dell’invasione russa (definita da Putin una “operazione militare speciale”), Zelensky ha introdotto la legge marziale (per un primo periodo di 30 giorni, ora esteso): la legge marziale prevede che ogni uomo deve servire il paese militarmente, e per questa ragione viene vietato loro il passaggio, e l’amministrazione giuridica del paese è stata delegata completamente ai tribunali militari. Diverse violazioni di diritti umani hanno messo a repentaglio l’esistenza di donne trans respinte alla frontiera, nonostante il loro status legale di donne e il pericolo rappresentato dalle politiche transfobiche della Russia. Immediatamente, le reti di sostegno della comunità lgbtq+ si sono mobilitate per offrire accesso a informazioni, farmaci, luoghi sicuri: se ne legge in italiano in un breve articolo su Valigia Blu, ricco di link esterni che offrono dati ed espandono l’argomento.
“Siamo l’opposizione alla guerra, al patriarcato, all’autoritarismo e al militarismo. Siamo il futuro che prevarrà” (dal manifesto delle femministe russe): Non Una Di Meno: Contro la guerra, per il disarmo. Comunicato dello sciopero transfemminista LottoMarzo 2022.
La vicenda di Cissi Wallin e il #Metoo, che non c’è stato, in Svezia, per via della denuncia per diffamazione da parte del suo aggressore e “che nel processo di primo grado fu giudicata colpevole ed è tuttora in attesa della sentenza in appello, per cui rischia fino a due anni di carcere”.
Un pezzo molto bello su Sailor Moon, amicə Sailor Moon che abbiamo trovato sulla nostra newsletter amicə Mutande del Lunedì.
È stato pubblicato il nuovo rapporto sul lavoro domestico in Italia, che come prevedibile è aumentato da quanto è scoppiata la pandemia. Le donne, perlopiù straniere, sono quasi il 90% delle persone impiegate nel lavoro domestico, e due terzi lavorano in nero. Lo puoi leggere qui.
Vanniall è un’artista e performer dell’industria sessuale che, dopo un percorso di coming out “as gay, as trans, as a sex worker” si espone in prima persona per descrivere le possibilità di una svolta anti-sierofobica nell’industria del porno e nella società intera.
Piccoli atti contro il pinkwashing online: se un’azienda twitta qualche frase di circostanza sul supporto alle donne e la promozione delle pari opportunità, questo account risponde con i dati relativi al divario salariale all’interno di quell’azienda.
Quante sono, e come vivono, le donne senza fissa dimora in Giappone.
UN’ARTISTA
Sol Calero. L’anima sudamericana
di Simona Iamonte
[Alt Text: L’artista venezuelana Sol Calero nel suo studio di Berlino con alle spalle alcuni progetti della sua opera immersiva “Casa Anacaona” esposta ad Art and Folkstone Triennial Festival - Folkstone (UK) nel 2017.]
Nel lavoro di Sol Calero la potenza identitaria legata alle origini dell’artista è molto forte e predominante: un richiamo alle proprie radici e il costante desiderio di far rivivere momenti e assaggi della cultura carachegna. Un mondo che diventa quasi magico ed esotico agli occhi degli “estranei” europei, in una crescente e vibrante danza di colori e oggetti di scena che ritornano sempre nella rappresentazione, simboli della cultura e della memoria vissuta dall’artista.
Sol Calero nasce nel 1982 a Caracas, Venezuela, dove conduce la sua infanzia e adolescenza. A diciassette anni si sposta in Europa dove si laurea in pittura, prima a Madrid presso L’Universidad Complutense e successivamente presso la Universidad de la Laguna a Tenerife. In seguito, grazie ad una borsa di studio, si stabilisce definitivamente a Berlino, dove tuttora vive e ha lo studio.
[Alt Text: “El Buen Vecino”- dipinto acrilico su tela, parte della mostra site-specific “El Buen Vecino” presentata ad Art Basel 2015, Basilea, Svizzera.]
Durante gli anni universitari, la sua pratica artistica si concentra sulla sperimentazione delle tecniche della pittura astratta che si basa su forme, colori e sull’immediatezza compositiva. Come dichiara in questa intervista, il suo processo lavorativo è variato molto negli anni e si è avvicinato a correnti come l’arte concettuale. Mischiando il concettualismo, ossia l’idea come vera significatrice di un’opera, e l’aspetto estetico della pittura, ha mano a mano testato il suo linguaggio unico che si traduce in una moltitudine di mezzi per esprimerlo: pittura, scultura, performance e installazione.
Il lavoro di Sol Calero è diventato una sorta di vessillo della propria città di nascita, nonché della cultura che permea le strade e la vita venezuelana. L’artista ricorda spesso che il Venezuela è ancora un paese in via di sviluppo, dunque, vuole sottolineare maggiormente la voglia degli abitanti, di evadere da quella condizione e ci accompagna in un viaggio in cui non solo ci mostra i colori della sua Caracas, ma anche l’attitudine di vitalità dei suoi cittadini che non vogliono essere schiavi mentali della condizione del paese.
[Alt Text: Fotografia dell’installazione immersiva “Bienvenidos a Nuevo Estilo” presso la galleria Laura Bartlett di Londra (dal 5 Aprile al 17 Maggio 2014) l’installazione consiste in alcune sedie regolabili da parrucchiere decorate con motivi colorati, un dipinto e specchi sempre decorati con motivi vegetali. ]
Nell’installazione immersiva “Bienvenidos a Nuevo Estilo”, presentata nel 2014 presso la galleria Laura Bartlett di Londra, l'intento dell’artista è quello di prendere possesso dello spazio ricreando un salone di bellezza di stampo latino che ha postazioni per tagliare e acconciare i capelli, lettini abbronzanti e postazioni per la manicure. In questa intervista ad Artuner, Calero spiega il processo dietro alla costruzione dell’opera:
Due mesi prima dell’inaugurazione sono andata a Londra, nei quartieri del sud con l’intento di vedere alcuni saloni estetici latini all’opera. In questa occasione ho conosciuto Gloria, una parrucchiera ecuadoriana. Attraverso Gloria e alcune clienti del salone, ho poi conosciuto alcune ragazze africane che fanno le tipiche trecce africane per strada, così le ho invitate a fare le trecce ai partecipanti il giorno dell’inaugurazione.
[Alt Text: Alcune estetiste e parrucchiere durante la serata di inaugurazione della mostra “Bienvenidos a Nuevo Estilo”.]
L’intento non è semplicemente quello di ricreare il mondo latino, piuttosto quello di trasformare lo spazio solitamente austero e intimidatorio della galleria in qualcosa di totalmente diverso. L’artista reinventa le “pareti bianche”, sfrutta il contesto, rompe le regole e ne stravolge la percezione primordiale del luogo. Le decorazioni colorate giocano un ruolo centrale nell’identificazione del salone di bellezza: sono esotiche e tropicali e la loro responsabilità è proprio quella di dare indicazioni sul tipo di luogo, sul tipo di cultura che ospitano, proprio come avviene quando per strada entri in un negozio cinese o in un ristorante messicano e sai esattamente dove ti trovi.
Per l’inaugurazione, l’artista ha anche pensato di fare una lezione di salsa condotta da un ballerino di nome Garcia. Così, ancora una volta, la galleria cambia volto e si rinnova nell’atmosfera. La stanza si riempie di gente che si comporta come se fosse in un bar: sorseggia drink e si diverte nell’imparare nuovi passi di danza, mentre tutte le installazioni sono ricoperte di giacche ed effetti personali dei visitatori, dissacrando l’idea che un’opera sia “intoccabile”. L’energia è di festa, è imbevuta di sensazioni e usi molto lontani dalla cultura europea; ed i visitatori non sono più tali, ma diventano a tutti gli effetti dei partecipanti dell’opera.
[Alt Text: L’artista, il ballerino Garcia e tutti i partecipanti che ballano durante l’inaugurazione della mostra “Bienvenidos a Nuevo Estilo”.]
L’artista spiega il senso di spaesamento nel vivere costantemente in due culture molto diverse. Spiega come sia stata catapultata da molto giovane nei luoghi in cui “si impara l’arte” (ossia l’Europa), luoghi in cui si dice che l’arte sia nata. In realtà l’arte è sempre esistita in ogni cultura. Come purtroppo è successo nei secoli precedenti, si è dato esclusivamente spazio all’arte nordamericana ed europea, tralasciando tutti i linguaggi degli altri continenti. Sin dall’inizio dell’umanità, si è sempre fatta l’arte: nelle caverne, nei manufatti, nelle tombe faraoniche; eppure solo ora si sta ricominciando a dare valore agli artisti di quei mondi dimenticati dal sistema artistico.
Calero si sente non completamente europea e non completamente venezuelana, sebbene abbia assimilato tutte e due le culture; di conseguenza la sua arte riflette anche lo spaesamento, creando spazio fisico e non solo mentale per chi vuole condividere, per chi vuole imparare, per chi ha bisogno di sedersi e pensare. L’intento finale dell’artista è quello di eliminare tutti gli stereotipi di razza e creare spazio per godersi il momento, la natura, le persone e l’energia.
[Alt Text: “Casa Anacaona”, installazione immersiva 2017 Folkstone, UK.]
Un’opera che riflette appieno questo concetto di socialità e condivisione è certamente “Casa Anacaona”, un progetto creato in collaborazione con il festival musicale e multi-culturale Womad World of Art che si svolge ogni anno in Inghilterra e Folkstone Triennial, un festival di arte contemporanea a Folkstone, una piccola cittadina marittima nella contea del Kent a sud-ovest dell’Inghilterra.
L’opera è stata costruita e assemblata per il Folkstone Triennial nel 2017, grazie al coinvolgimento di alcuni giovani artisti che vi risiedono. Successivamente è stata spostata al Womad per il periodo del festival, nel quale Calero ha coinvolto i partecipanti in alcuni workshop pittorici. Dai workshop, i partecipanti hanno potuto arricchire l’opera dipingendo motivi colorati e vivaci su dei pezzi pre tagliati di legno, che sono poi stati assemblati direttamente sulla struttura e hanno creato delle decorazioni su più strati, arricchendo l’opera.
In questa intervista, Calero spiega la scelta del nome “Anacaona” e dice che a Caracas alcuni abitanti preferiscono personalizzare la propria abitazione dandole un nome, spesso un nome proprio di persona, come ad esempio “Casa Luisa”. L’artista riprende questa usanza per il titolo, dandole il nome di un brano che ascoltava durante la progettazione dell’opera, ossia la canzone di Ruben Blades, un cantante panamense, con un brano in stile latino-americano di salsa intitolata appunto “Anacaona”.
Durante Womad, l’opera era immersa nel verde, con alberi e vegetazione rigogliosa che circondavano la casa. Successivamente l’opera è tornata presso Folkstone, dove è stata situata in prossimità del mare, in una situazione più tranquilla. È interessante notare la netta differenza dei contesti per avere una visione più ampia di come una struttura si possa adattare egregiamente in diverse aree, ma comunque far funzionare il concetto di base dell’opera, che in questo caso si traduce in senso di ospitalità, comunità e di incontro con la natura. Se in un evento troviamo l’opera installata in un bosco, durante un festival musicale, il senso di comunità è forte e palpabile perché l’opera è condivisa simultaneamente da altre persone che ne traggono una simile esperienza sociale e culturale. Mentre nella seconda installazione a Folkstone, l’opera è immersa in uno scenario più riflessivo e solitario in cui il suono del mare accompagna i pensieri ed è possibile vivere l’opera in una maniera più intima e personale, in uno spazio più aperto e meno affollato.
Quindi, la stessa opera, messa in due contesti differenti, scaturisce una reazione totalmente diversa, ma non lascia mai indifferente. Alle volte ci pone davanti a noi stessi, altre, di fronte all’altro, ma riesce sempre a favorire una conversazione, che sia rivolta verso l’interno o verso l’esterno.
[Alt Text: foto della vista dell’opera immersiva “Casa Anacaona” esposta al Womad World of Art. Una casetta colorata è immersa nel verde del parco in cui si è svolto il festival culturale. 2017.]
[Alt Text: Foto della vista dell’opera immersiva “Casa Anacaona” presso il Folkstone Triennial. La vista verso il mare dall’interno della struttura verso la spiaggia sul quale era posizionata. 2017.]
Sempre nel 2017, per il Kunstpalais – un palazzo barocco adibito ad eventi culturali e sociali nella cittadina bavarese di Erlangen – l’artista ha creato “Agencia Viajes Paraiso”, con l’intento di ricostruire un’agenzia di viaggio attraverso un’altra opera immersiva nella quale i fruitori venivano accompagnati nelle varie fasi di scelta di un viaggio. Durante l’inaugurazione si poteva dialogare con gli agenti di viaggio e infine acquistare i biglietti aerei per la destinazione scelta.
[Alt Text: Foto dell’installazione immersiva di “Agencia Viajes Paraiso” presso la Kunstpalais, Erlangen in Germania. La struttura espositiva è stata riempita con elementi decorativi e di immersione come sedie, orologi, tavoli, piante e neon per ricostruire un tour operator.]
Derivato da “tornos” e “tornus” rispettivamente in greco e latino, turismo significa un movimento circolare di andata e ritorno, ed è quindi una situazione temporanea diversa dal viaggio del migrante che spesso non implica un ritorno nella terra di origine. Tra il Seicento e la fine dell’Ottocento, iniziano ad essere diffusi i Grand Tour tra adulti e rampolli aristocratici di diversi paesi e molto spesso anche per alcuni fortunati artisti di corte. Gli aristocratici compivano viaggi a tappe in europa, molto spesso passando per l’Italia, a scopo istruttivo e formativo; per imparare l’arte, la storia architettonica e la politica.
Durante i secoli la parola turismo si è evoluta nel tempo e la versione contemporanea che usiamo nella lingua italiana, deriva dall'inglese "tour", parola entrata nei nostri dizionari agli inizi del Novecento, epoca in cui migliorano le condizioni di vita e si assiste ad uno sviluppo dei mezzi di trasporto che diventano alla portata di molti e non più solo dell’aristocrazia; il turismo muta così in pratica di massa a partire da metà Novecento.
[Alt Text: vista dell’installazione con sedie colorate, piante, tavolino e oggetti da ufficio, poster e tapparelle e orologi con l’orario di alcune delle città del mondo.]
Il viaggio appare come una promessa, un’avventura, un sogno nel quale l’agenzia gioca un ruolo fondamentale nel proporre e proiettare il fruitore verso nuove esperienze creando nella sua mente aspettative che sono spesso dei clichè sull’esotismo e tropicalismo, e dipingendo questi luoghi come paradisi terrestri. Calero gioca con l'idea della “vendita di un luogo” attraverso gli stereotipi: progetta opuscoli di viaggio che promettono esperienze da sogno, usa fotografie curate ad hoc di luoghi paradisiaci e attraverso i consigli da parte degli operatori, indirizza il cliente verso la scelta; proprio come avviene nelle agenzie reali.
Attraverso questa installazione e performance, Calero intende mostrare come un luogo viene venduto e dipinto dall’industria turistica e come l’identità di un paese latino non sia solo e necessariamente legata alla narrazione turistica, ma anzi ci ricorda che, un paese ha una propria identità che spesso differisce da quella che si cerca di vendere attraverso un opuscolo.
Questa opera va letta in chiave ironica, e si focalizza su come tutto ruoti attorno alla promessa di raggiungere mete da sogno, da “Paraiso” appunto, grazie alla costruzione di uno scenario mentale preciso che si forma durante l’atto della vendita grazie agli opuscoli, all'aiuto degli operatori e le fotografie dai colori perfetti.
[Alt Text: installazione immersiva “El Autobus” esposta alla Tate Modern di Liverpool (UK). Una costruzione a forma di autobus turistico è immersa in uno spazio dalle pareti decorate con motivi e forme colorate che riproducono un ipotetico paesaggio suamericano.]
Nell’Aprile del 2019, l’artista è stata invitata dalla Tate di Liverpool a creare un’opera per gli spazi del museo. Calero ha progettato “El Autobus”, un’installazione immersiva che consiste in una struttura a forma di autobus turistico, in alcuni affreschi sui muri e in video sonorizzati all’interno del bus.
L’idea alla base del progetto continua ad essere quella di mettere a confronto le aspettative e la realtà attraverso un processo di memoria. L'artista stessa dichiara in questa video-intervista di avere dei ricordi lontani del suo paese e di sapere che il suo paese è molto cambiato rispetto a quando lei era una ragazzina. Per questo progetto ha deciso di fare alcuni viaggi in America Latina per entrare di più a contatto con la realtà contemporanea del continente, in modo da poterla contrapporre alla sua stessa aspettativa, derivata dai suoi ricordi. In questo modo avvicina la propria esperienza a quella di un potenziale turista, che parte con delle aspettative, destinate ad essere (piacevolmente o sfortunatamente) disattese dalla percezione del luogo che avrà una volta arrivato.
Sempre nel video, Calero spiega come la parte pittorica dell’installazione sia composta da elementi tratti da ricordi e sensazioni che ha del suo paese che non vogliono essere necessariamente esplicative del luogo ma fungono da linea guida identitaria; sono delle immagini che danno un accenno della sua esperienza in Venezuela.
Oltre alla struttura e alle opere pittoriche c’è un video proiettato in numerosi minischermi posizionati nelle teste dei sedili dell’autobus. In questo video scorrono paesaggi desertici e marittimi e una voce narrante – un’ipotetica guida turistica – descrive i luoghi e la loro storia, proprio come in un vero viaggio organizzato.
[Alt Text: vista interna dell’installazione “El Autobus” composta dai sedili tipici di un bus turistico e degli schermi in cui viene trasmesso un video simile-turistico. Al di fuori della struttura, ci sono affreschi che imitano le forme e i colori della vegetazione tropicale.]
Ancora una volta Calero gioca con la sottile linea, anche ironica e mai di giudizio, tra la rappresentazione turistica e l’identità di un paese, chiedendo ai fruitori di far parte dell’opera e quindi dell’esperienza che ne deriva, proprio come in un vero viaggio all’estero.
A oggi è possibile trovare le opere di Calero presso alcune gallerie europee, come la Barbara Gross Galerie di Monaco, la Galleria Crèvecoeur a Parigi e Chert Ludde a Berlino.
Simona Iamonte vive a Torino e lavora come illustratrice e pittrice. Puoi seguirla su Instagram.
Grazie ad Antonia e Simona per aver contribuito a questo numero di Ghinea, ci leggiamo il prossimo mese!
Un abbraccio!
Francesca, Gloria e Marzia
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