La ghinea di luglio
Benvenut_ a Ghinea, mannaggia al caldo e al COVID. Questo mese torna Diletta Crudeli e ci porta fantasmi, caos, distruzione ma anche palingenesi con un’analisi affiancata di due recenti raccolte di racconti. Dopo i link, ci lamentiamo dell’ultimo adattamento di Jane Austen fatto da Netflix, Persuasione. Buona lettura!
Nutrirsi di abissi per diventare fantasmi
di Diletta Crudeli
Esiste uno spazio materiale, artificiale e corrotto dalle malsane relazioni umane che genera fantasmi. Sono i luoghi dove esiste l’odio per le donne, per il diverso, per il povero. Più volte nelle ultime uscite della speculative fiction si sono viste narrazioni in cui le storture del mondo reale lasciano proliferare mostri e conflitti soprannaturali. Questi infestano e parassitano quello che potremmo definire, dal punto di vista di esseri uman, il mondo che conosciamo. Si va da storie puramente new weird e distopiche come Silenziosa sfiorisce la pelle di Tlotlo Tsaamaase (Zona 42, 2022), in cui la resistenza al colonialismo e al razzismo crea un mondo fantasma, alle narrazioni young adult come Mexican Gothic di Silvia Moreno-Garcia (Oscar Vault, 2021), in cui una ragazza si ritrova invischiata nella classica storia gotica in cui il nemico è l’uomo colonizzatore, che ancora una volta finisce per stringere alleanze mostruose.
Il fatto che queste storie, ma ne potremmo aggiungere molte altre, siano state scritte rispettivamente da una scrittrice motswana e da un’autrice messicana è ovviamente un fattore indicativo: è il meccanismo razzista, omofobo, colonialista che contribuisce alla creazione di quegli spazi di orrore e annullamento, in cui le identità rischiano di perdersi e venire sconfitte per sempre.
Nell’isolamento, nella ripetizione di una routine in cui ci si sente isolatx e umiliatx avviene una trasformazione. Che tuttavia si può volgere a proprio favore.
Due raccolte di racconti uscite negli ultimi mesi narrano questo processo, ma si tratta in questo caso di storie non esplicitamente weird o comunque non nettamente ascrivibili al genere fantastico.
Sia Sacrifici umani di Maria Fernanda Ampuero che Costellazioni familiari di Ana Llurba parlano di persone marginalizzate e costrette in luoghi abusanti, artificiali, corrotti. In questi luoghi liminali le ragazzine mangiano abissi, come scrive Ampuero, o credono di essere ormai divenute immortali, come scrive invece Llurba.
[Alt Text: copertina di Sacrifici Umani.]
“Scrivere è anche benedire una vita che non è stata benedetta.”
Le parole di Clarice Lispector sono in esergo ai dodici racconti scritti dall’ecuadoriana Maria Fernanda Ampuero. I sacrifici umani del titolo ci rendiamo conto essere, procedendo nella lettura, sacrifici e rituali che sono già avvenuti. Le donne raccontate da Ampuero sono già state immolate. Si tratta di donne povere, abusate, ragazzine violente, ragazzine bullizzate, figlie che non vengono comprese. Le parole di Lispector in esergo ci vogliono quindi indicare il percorso che è stato compiuto: si tratta di un’apoteosi al contrario, dove chi viene sacrificato come martire si immerge all’interno di una voragine invece che salire nel regno dei cieli.
E solo negli spazi nascosti, celati sotto i luoghi maledetti in cui si è vissuto precedentemente, si possono trovare le parole giuste del rito, quelle nuove e utili per raccontare la propria storia.
Perdendo l’innocenza, venendo surclassate da un mondo che non le accetta o le ripudia, le protagoniste di Ampuero trovano comunque un modo per prendere parola, per confessare ciò che hanno visto o fatto. Avvicinandosi continuamente all’orrore senza mai toccarlo del tutto, l’autrice ci conduce fino al limite dell’oscenità, in luoghi e circostanze che non vorremmo mai sfiorare. Reclusioni, maltrattamenti, case infestate. L’oscenità, più dell’orrore, cattura il nostro sguardo. Ci impedisce di guardare altrove.
Le ragazze di Ampuero ripercorrono episodi passati della propria vita, così da comprendere quand’è che hanno capito di non appartenere più all’esistenza condivisa con gli altri. Gli spazi raffigurati in questi racconti sono sempre luoghi abbandonati, decadenti, piscine e altre costruzioni artificiali che nascondono segreti.
Tra i racconti più belli troviamo quelli collocati al centro della raccolta. Prescelte e Sorellina sono infatti esempi perfetti di quello di cui stiamo parlando. Nel primo un gruppo di ragazze escluse dalle feste danzano sotto una luna che “sgocciolava rosso sul mondo come una ragazza sverginata”. Danzano all’interno di un cimitero dei poveri e riportano in vita quattro surfisti bellissimi e perfetti, sepolti lì per necessità, e si accoppiano con loro:
Sulla strada che porta a Mar Bravo c'è un cimitero per i poveri. È diventato un luogo di pellegrinaggio degli eletti perché quattro di loro sono stati sepolti lì. Tra tombe con fiori finti scoloriti dal sole, lapidi con gli spigoli rotti ed erbacce, piangevano le ragazze dalla pelle splendente, con le camicie bianche, i pantaloncini di jeans, i gioielli fantasia e i sandali allacciati alla caviglia.
In Sorellina invece un’adolescente che non accetta il suo corpo, “una cicciona sola”, viene inserita come terzo incomodo nell’amicizia tra la cugina che da sempre la bullizza e una nuova ragazzina, Mariela, arrivata da poco in città. Le tre passano le giornate nella casa triste e mortifera di Mariela, sguazzano nella piscina sporca e lurida, in cui la protagonista galleggia, leggera, e crede di poter essere un’altra:
La casa di Mariella non si trovava più nei quartieri alla moda. I ricchi si muovono come le capre, tutti insieme, e lì dove un tempo era imprescindibile vivere non restavano che magioni bianche e solenni pronte a essere occupate da istituti tecnologici, chiese evangeliche o fantasmi.
Allo stesso modo Ana Llurba, argentina e già uscita per Eris Edizioni con il romanzo sci-fi La porta del cielo, utilizza un armamentario composto da miti, racconti che sfiorano di nuovo il genere sci-fi e storie di adolescenti incastrati nella contemporaneità, per raccontarci di personaggi che si scontrano con delle presenze. Presenze umane, come uomini violenti, sette spiritiche new-age che cantano inni notturni, compagne di classe che ricordano vampiri.
Llurba aggiunge inoltre un subdolo tranello nella narrazione: quanto ci sarà di vero in quello che ci viene narrato? Un fattore che non vuole lasciare intendere che le mancanze, le violenze e le crudeltà siano fasulle. Tutto il male è vero, solo non sappiamo se quelle forme siano reali, se siano tali per chiunque, perché l’autrice rende le sue narratrici sempre molto ambigue. Non sappiamo se davvero c’è la possibilità che una ragazzina sia una vampira o se sia possibile che una macchina in un supermercato abbia preso coscienza e ci racconti la sua storia. Forse è bene pensare che sia così. Che quel piccolo dettaglio impossibile sia vero, e che sia o diventi la potenza nascosta che renda finalmente giustizia a donne che sono state vessate.
Così anche i territori di Llurba lasciano proliferare fantasmi e a loro volta diventano dimore di ribelli entità semi-demoniache.
Come nel racconto che dà il titolo alla raccolta, in cui una donna in difficoltà dopo aver partorito due gemelle, ormai del tutto ignorata dal marito, nottetempo segue di nascosto l’uomo quando lo vede introdursi all’interno dell’Ambasciata, un luogo da chiunque considerato niente di più che un nightclub. Trova invece ragazze che indossano corone di viti, che cantano inni lunari. Lì finalmente riesce a liberarsi dai pesi che la opprimono, a librarsi di nuovo nello spazio stellare:
Prima che nascessero le gemelle osservava molto più spesso il cielo una volta, in una notte limpida, con il suo binocolo era riuscita persino a vedere Giove. Adesso invece era troppo attaccata alla terra, concentrata giorno e notte su quelle due creature speculari e non autosufficienti che piangevano tutto il giorno.
L’altro buon esempio è Silvina. La protagonista ricorda la sua compagna di classe Silvina, che sa crede sia l’artefice della sua immortalità. In questa narrazione in particolare non è ben chiaro quanto sia l’ossessione della protagonista per Silvina o quanto sia la perdita dell’innocenza stessa la vera causa dell’infestazione: apparizione di pipistrelli, sangue e visioni soprannaturali. In ogni caso anche la protagonista di Silvina, l’ennesima adolescente, comprende che il mondo là fuori, degli uomini e degli adulti, non è che una giostra rotta, un gioco che lei può rendere più divertente:
Silvina contemplava al cielo oltre il vetro della finestra. Guardava senza vedere. Una patina di malinconia era calata sulle sue pupille. All'improvviso sollevò un braccio e indicò fuori. Con l'altra mano si tappò alla bocca, per reprimere un url. Fino a quel momento avevo creduto che io e lei appartenessimo alla stessa aristocrazia spirituale, o almeno per un periodo era stato così.
Si tratta, in entrambe le raccolte, di identità che attraverso la violenza e la marginalizzazione prendono forma per poi esplodere. Le donne di Ampuero e Llurba non sono semplici fantasmi creati dall’odio e dalla cattiveria altrui, ma veri e propri poltergeist. Spiriti che non si limitano a osservare, ma entità che agiscono sul reale, perché finalmente riescono a riconoscerlo per quello che è: una massa caotica, indefinita e potenzialmente crudele.
Come poltergeist, la patrona di tutte le donne di questi racconti potrebbe essere Carrie White, la protagonista dell'omonimo romanzo di esordio di Stephen King, pubblicato nel 1974. Carrie, tormentata da una madre cattolica, dai compagni di classe, da sempre ai margini della società, sviluppa un potere telecinetico che lentamente, come una lampadina, si riscalderà per poi esplodere. Per quanto il punto di vista della ragazza sia narrato straordinariamente bene da King, è nel film di Brian de Palma del 1976 che capiamo alla perfezione cosa avviene quando il mondo che ci ha ferito diventa un nuovo luogo, un posto ormai scisso dalla nostra identità. Nel momento in cui Carrie può vendicarsi lo schermo è diviso a metà: da una parte l’eccidio nella sala da ballo, dall’altra lo sguardo implacabile di Carrie White.
[Alt Text: frame da Carrie - Lo sguardo di Satana (Brian De Palma, 1976). La protagonista, interpretata da Sissy Spacek, è appena stata vittima di un umiliante scherzo durante il prom, e proprio mentre veniva incoronata reginetta del ballo ha ricevuto una secchiata di sangue di maiale in testa. Nel frame è ricoperta di sangue e ha gli occhi sbarrati, e mentre dà il via alla sua vendetta sullo sfondo blu ancora luccicano le stelle e lo striscione del ballo. Fonte.]
La divisione tra realtà che promette e realtà che distrugge arriva implacabile, come la lama di una ghigliottina. Le protagoniste di Ampuero e Llurba, come Carrie White, non possono che fermarsi un solo secondo per riprendere fiato, per poi decidere se diventare agenti del caos e seminare panico e terrore in mezzo alla società che le ha cacciate o divenire creature che continueranno a infestare i margini, i confini, ripetendo la propria storia a chiunque sia disposto ad ascoltare.
Non semplici mostri quindi, ma fantasmi più o meno vendicativi.
La separazione dal mondo costringe a ingoiare delusioni, affrontare violenze, a mangiare abissi.
In storie che sfiorano il fantastico senza mai immergersi del tutto nelle sue acque, Ampuero e Llurba raccontano delle entità che popolano i territori e gli spazi dimenticati. Alcune crudeli, alcune stanche, ma ognuna di loro con gli occhi spalancati sul mondo.
Diletta Crudeli è nata nel 1991 e le piacciono le storie strane. Editrix per Moscabianca Edizioni, cura la collana di narrativa breve illustrata Cuspidi. Scrive di libri, è redattrice per l’Eco del Nulla e fondatrice di Spore Rivista. I suoi racconti sono usciti su diverse riviste letterarie, tra cui «Tre Racconti», «Narrandom», «In fuga dalla bocciofila» e «Specularia».
Ha pubblicato storie nelle raccolte Prisma Vol. 1 (Moscabianca Edizioni 2019), W.o.W. Women of Weird (Moscabianca Edizioni 2020), Prisma Vol. 2 (Moscabianca Edizioni 2020) e Hortus Mirabilis. Storie di piante immaginarie (Moscabianca Edizioni 2021). Sempre per Moscabianca Edizioni ha curato l’antologia speculative queer HUMAN/ (2021).
Dagli Stati Uniti: le non rare donne che ritengono l’aborto un omicidio salvo quando si tratta del loro aborto – e che il giorno dopo aver interrotto la propria gravidanza si presentano di nuovo ai picchetti fuori dalle cliniche.
Nei momenti in cui le cattive notizie e il catastrofismo sembrano paralizzarci, possiamo tornare a un vecchio scritto di Rebecca Solnit contro la tentazione di rifugiarsi in una postura cinica. Il cinismo, spiega Solnit, è solo a prima vista l’atteggiamento di chi la sa più lunga: in realtà, è una posizione di comodo e sprovveduta, che può essere raggiunta e mantenuta soltanto semplificando al massimo la realtà e rifiutandosi di agire per modificarla, con la scusa che è ormai tutto perduto. “I cinici sono spesso idealisti delusi”, commenta Solnit: persone che non accettano niente di meno del tutto e subito. Ma i cambiamenti sociali si raggiungono con fatica e pazienza, e il percorso non è mai perfetto e costante: ci sono passi indietro e mezze vittorie, compromessi e imprevisti, e i bilanci si tirano sul lungo periodo. “Ciò che facciamo comincia da ciò che crediamo di poter fare. Comincia con l’essere apertə alle possibilità e interessatə alle complessità”.
Su Singola, Silvia Gola propone una lettura affiancata di Patologie del lavoro di Rahel Jaeggi e Il lavoro non ti ama di Sarah Jaffe.
FATTO DA NOI
Gloria è stata ospite di Ricciotto per parlare del nuovo adattamento di Persuasione, diretto dalla regista Carrie Cracknell e prodotto e distribuito da Netflix. Nella puntata, Gloria evidenzia le differenze fra il romanzo di Jane Austen e il film, e insieme a Federica Bordin e Matteo Scandolin conclude che alcuni degli espedienti impiegati nella pellicola, come lo sfondamento insistito della quarta parete o i numerosi voice over, fanno parte di una modalità didascalica di racconto spesso presente nelle produzioni Netflix. Sul profilo Letterboxd di Gloria puoi leggere anche un commento aggiuntivo sulla cornice storica in cui Persuasione ha luogo, e sul tipo di conflitto che mette in scena a sostegno e arricchimento della storia d’amore centrale.
FATTO DA VOI
Se sei alla ricerca di una newsletter letteraria, ti suggeriamo quella di Arianna Mandorino.
UN FILM
Persuasione (Carrie Cracknell, Netflix, 2022)
[Alt Text: una scena del film. Da sinistra verso destra: Mrs. Clay (Lydia Rose Bewley), Sir Walter Elliot (Richard E. Grant), Anne Elliot (Dakota Johnson), Elizabeth Elliot (Yolanda Kettle) siedono vicini su un divano, ognuno reggendo una tazza di tè. Per rompere il silenzio, Anne Elliot inizia a raccontare il sogno della piovra. Fonte.]
“Sometimes I have this dream that a giant octopus is sucking my face, and as I struggle to get free, I realise that my hands are tentacles and I can’t push it off. Then I realise, of course, that I am the octopus, and I am sucking my own face.”
“Perhaps the next time you meet an octopus Miss Elliot, you should embrace him rather than try to detach.”
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“Faccio questo sogno in cui una piovra gigante mi sta succhiando la faccia, e mentre mi dibatto per divincolarmi, mi rendo conto che le mie mani sono tentacoli e non riesco a spingerla via. Poi mi rendo conto, ovviamente, che la piovra sono io, e che sto succhiando la mia stessa faccia.”
“Magari la prossima volta che incontrerà una piovra, signorina Elliot, dovrebbe abbracciarla invece che cercare di staccarsi.”
Come meccanismo narrativo, l’adattamento è una strategia conveniente e sintomatica. È un’operazione economicamente vantaggiosa: la trasposizione di storie è risparmio, riciclo, conversione e riqualificazione perpetua di idee, trame e personaggi già familiari, rassicuranti e dotati di fandom salde e indipendenti. Non è un caso che il franchise sia la prediletta tra le modalità capitaliste di riproduzione e affermazione culturale. Adattare un libro in un film in una serie in un videogioco in una tote-bag è una piovra a mille tentacoli che succhia la sua stessa faccia. E la saturazione non è collaterale, è prassi. Un adattamento, tuttavia, è un prodotto trasparente: non vuole tacere la scia di antenati analoghi su cui si appoggia, non può insabbiare le ansie del presente che lo crea.
Il film Persuasione, diretto da Carrie Cracknell e diffuso da Netflix a luglio 2022, è tratto dal romanzo omonimo di Jane Austen, pubblicato postumo nel 1818 e redatto tra il 1815 e il 1816, l’ultimo lavoro concluso prima di ammalarsi. Di norma, gli adattamenti cinematografici che ricreano un passato letterario inseguono l’illusione di storicità, ricercano l’obsolescenza enfatizzata di immagini e narrazioni. Nello sforzo affabulatorio, tuttavia, fanno anche qualcosa di non intenzionale, e quindi più interessante. Se da un lato un film in costume garantisce il diletto dell’evasione totale dal presente, dall’altro è anche un esercizio speculativo: invita a misurare le differenze tra il presente che si vive e il passato evocato che si guarda. Spesso, quando il costume è un abito a stile impero in mussola chiara addosso a un’eroina innamorata, il divario è tra un personaggio che soffre per un codice etico sorpassato, osservato da una spettatrice ormai liberata dalle costrizioni al cuore della trama. Si prova sollievo insieme al divertimento — ormai non è più così! Siamo libere di sposare, o no, chi vogliamo! — e ogni decade ha i propri temi sensibili che cerca di confermare allontanandosi da un “prima” antiquato.
La novità di Persuasione 2022 è che sembra ribaltare l’ottica del period drama: il passato letterario non è più trattato con la deferenza riservata ai vecchi saggi, ma è un soggetto muto rianimato dal gergo digitale millennial. Il risultato è assurdo e divertente — nessuno ritiene che la fedeltà nella trasposizione sia più un criterio valido — ma è anche un prodotto che cancella la possibilità di riflettere su ciò che per le donne è cambiato, o rimasto uguale, tra il 1815 e il 2022. Ci toglie, soprattutto, l’opportunità di trovare un attimo di tregua rifugiandosi in Jane Austen. Non ci si può scorgere di sbieco in Persuasione 2022, non ci si può nascondere: tutti i peggiori vezzi e squallide opinioni delle trentenni odierne sono in primo piano, e fanno ridere. Lo scarico retroattivo di atteggiamenti contemporanei, se letto come satira dell’oggi, potrebbe anche essere un tonico fresco. Se invece si rivelasse la conferma dell’ennesimo bias, ancora un’altra posa per un selfie, la noia sarebbe esasperante. E oltre a cancellare il contesto storico austeniano, la mossa più offensiva di Persuasione 2022 è il revisionismo cui costringe il personaggio di Anne Elliot: una zitella prudente e riservata che vive al limite della depressione trasformata in un’avvenente single autoironica e spigliata.
Persuasione ha una trama semplice e amara. Miss Anne Elliot lascia che la famiglia e l’amica Lady Russell la convincano, sebbene ne sia innamorata, a rifiutare il pretendente Frederick Wentworth perché non abbastanza ricco e conosciuto. Otto anni dopo, ormai rassegnata a restare sola, Anne lo incontra di nuovo: arricchito dalla carriera in Marina e ancora scapolo, ma disinteressato. Nel 1815, Anne Elliot è una protagonista laterale, di cui invadiamo la prospettiva senza riuscire a trascendere il filtro di riserbo e contegno che riflette al mondo. Della scarsa vita interiore che Jane Austen ci concede di spiare, notiamo l’avvilimento di Anne, uno scoramento totale che vuole farsi scudo contro ulteriori illusioni di speranza. Anne Elliot è appassita — her bloom had vanished early — Wentworth lo nota, e procede a corteggiare la deliziosa giovane cognata. Anne non osa confidare in una rinascita del loro legame, ogni incontro è vissuto con apprensione, ogni giornata solitaria con rimorso. Che il loro attaccamento rinasca è una sorpresa, non un intreccio stuzzicante.
[Alt Text: il salotto di Kellynch Hall in una scena del film. Sir Walter Elliot (Richard E. Grant) e sua figlia Elizabeth (Yolanda Kettle) siedono sul divano sfogliando un libro. Anne Elliot (Dakota Johnson) li osserva in piedi, da dietro, tenendo in braccio il suo coniglietto. Fonte.]
L’eccessiva liberalità nella gestione del patrimonio da parte di Sir Walter ha condotto la famiglia sull’orlo della bancarotta, e sia romanzo che film iniziano con la novità del taglio forzato alle spese (la villa, Kellynch Hall, viene affittata) che rende Anne di fatto una sfollata a casa della sorella e del cognato. La Anne di Netflix a malapena sembra aver bisogno di aiuto, figurarsi se ha bisogno di un uomo: ha già un coniglietto, una bottiglia di vino e un basco alla francese. Può tuffarsi a piacimento nel mare della Manica senza ausilio di una bathing machine. Ha capelli anacronisticamente sciolti e, soprattutto, puliti. A una #girlboss può risultare indigesta l’idea che questa principessa non si salvi da sola, ma il vero dramma di Persuasione non è che Anne abbia perso la sua occasione d’amore con il capitano Wentworth, ma che abbia perso ogni occasione di sfuggire — scappare davvero: in un’altra casa, con un nuovo nome — all’asfissia di famiglia.
Forse nel 2022 possiamo concederci il lusso di pontificare se soffrire per un uomo ci renda cattive femministe, o trovare adorabile che un malcelato alcolismo sproni a commettere buffe gaffe in pubblico per attirare l’attenzione su di sé. Per Jane Austen, la posta è molto, molto più alta, e il problema è che Anne Elliot ha un bisogno disperato di essere salvata, e nello specifico, salvata da un uomo ricco che la sposi. Si sminuisce l’angoscia austeniana rispetto al matrimonio quando un’osservazione come “Il matrimonio è una transazione per le donne, è a rischio la nostra sicurezza essenziale” viene pronunciata da Lady Russell con cinismo e santimonia, perché è la pura verità. Senza possibilità di ereditare titoli e patrimoni, senza capacità di lavorare per sopravvivere, Anne Elliot è l’ennesima protagonista austeniana in balia di famigliari sciocchi, non solo di quelli che per egoismo sperperano le risorse di tuttə, ma anche quelli che, potendo ospitare e nutrire, estorcono alla parente indigente tempo, pazienza, attenzione, cure unilaterali.
Dal pasticcio di Persuasione 2022 emerge il sospetto che americanismi sfacciati come “Una donna senza marito non è un problema da risolvere!” o “Perché si dà per scontato che tutto ciò che le donne vogliono è essere scelte da un buon partito?”, sparsi a pioggia e con evidente effetto comico, deridano la fonte cui il film si rifà, mentre compiacciono l’isteria di un pubblico edotto sui suoi nuovi diritti a suon di infografiche su Instagram. L’insistenza del film nel martellare gli slogan del femminismo pop più beota fa quasi sperare si tratti di una posa ironica, al fine, perlomeno, di non affogare nel cringe dell’ideologia strillata e facilona. È difficile capire che cosa ci faccia ridere: sono le signorine di buona famiglia non abbastanza #woke da bastarsi da sole a risultare ridicole? Oppure è la superficialità dei discorsi empowering a risultare palese quando sono messi in bocca a personaggi cui la legge impedisce di amministrare i propri soldi? È un riso sincero o nervoso quello ispirato da Mary, il nostro riflesso che discetta di self-care stesa sul prato, delega doveri e fraintende necessità?
Forse è il fatto che ad Anne Elliot sia precluso l’essere imbruttita e triste — d’altronde è Netflix: scolarsi una bottiglia da sole è comunque carino — a smussare il potenziale farsesco dell’intera operazione. È un’ottima intuizione descrivere Mr. Walter Elliot come un 10 di cui diffidare, ma i danni del femminismo commerciale sono tutti evidenti nell’intolleranza verso un personaggio come Anne, la quale, per tre quarti del romanzo, non vuole affermarsi, non vuole distinguersi, non vuole essere felice perché non ha nulla per cui esserlo. La quieta disperazione cui si affida è un modo cauto, non certo raro, di vivere. E invece sullo schermo resta bellissima, empowered, ha voglia di flirtare e confida di non aver mai perso la speranza!
[Alt Text: una scena del film. Elizabeth Elliott (Yolanda Kettle) esprime un gesto di sconcerto mentre fa colazione. Fonte.]
Persuasione 2022 trascura il ragionamento che porta per titolo. L’atto di persuadere, o meglio, in questo caso, dissuadere, poggia su fondamenta etiche ambigue: non solo richiede un controllo di sé tale da far prevalere fiducia e ragionevolezza su intuito o desiderio, ma coinvolge anche la disparità di influenza, potere e autorità tra consigliere e consigliato. È un patto duplice, che si estende nel tempo, e lega i sacrifici dell’una al coinvolgimento dell’altra.
Sembra che il film stemperi l’impatto che l’aver dato un cattivo consiglio ha su Lady Russell, mentre il timore che il libro suggerisce dalla prima all’ultima pagina è rivolto a quello che succede quando un consiglio espresso con le migliori intenzioni causa sofferenza e rimpianto, dimostrandosi, di fatto, sbagliato. Mostrando una Lady Russell impenitente e sprezzante dell’ostinata delusione di Anne, Netflix nega (a personaggio e spettatrici) la possibilità di considerare l’orrore delle proprie responsabilità.
La naturale conseguenza è che anche il dispiacere sterile di Anne si trasformi in una pervicacia stizzosa nel volersi riprendere ciò che le appartiene: “Sono arrabbiata con me stessa per essermi lasciata persuadere!”, strilla stesa sul letto della sua cameretta. Il pentimento è solo collera, incomprensione di sé, non accrescimento di senno. Eppure Jane Austen è chiarissima nel suo romanzo quando, in conclusione, nel ventitreesimo capitolo, fa dire ad Anne:
I have been thinking over the past, and trying impartially to judge of the right and wrong, I mean with regard to myself; and I must believe that I was right, much as I suffered from it, that I was perfectly right in being guided by the friend whom you will love better than you do now. To me, she was in the place of a parent. Do not mistake me, however. I am not saying that she did not err in her advice. It was, perhaps, one of those cases in which advice is good or bad only as the event decides; and for myself, I certainly never should, in any circumstance of tolerable similarity, give such advice. But I mean, that I was right in submitting to her, and that if I had done otherwise, I should have suffered more in continuing the engagement than I did even in giving it up, because I should have suffered in my conscience. I have now, as far as such a sentiment is allowable in human nature, nothing to reproach myself with; and if I mistake not, a strong sense of duty is no bad part of a woman’s portion.
Stavo pensando al passato, e cercando di giudicare imparzialmente il bene e il male, s’intende nei miei confronti; e debbo credere che ho fatto bene, pur avendone tanto sofferto, che ho avuto ragione a farmi guidare da un’amica che in seguito amerai più di quanto tu non faccia adesso. Per me sostituiva un genitore. Non fraintendermi, però. Non dico che non sbagliò nel consigliarmi. era forse uno di quei casi in cui i consigli sono buoni o cattivi soltanto in funzione degli eventi; quanto a me, non darei mai certamente, in circostanze almeno approssimativamente simili, un consiglio del genere. Ma voglio dire che ho fatto bene ad esserle sottomessa, e che se avessi fatto diversamente avrei sofferto ancora di più a continuare il fidanzamento di quanto abbia sofferto nel rinunciarvi, perché ne sarebbe stata toccata la mia coscienza. Adesso, per quanto sia compatibile con la natura umana un siffatto sentimento, non ho nulla da rimproverarmi, e, se non sbaglio, un forte senso del dovere non è una dote negativa per una donna. [traduzione di Giulietta Cardone Cattaneo, BUR, 2006. Enfasi mia]
Per Jane Austen Anne ha fatto bene a fidarsi di una persona più anziana, più saggia, e conscia del suo valore: ha seguito il suo dovere, e questo è un conforto limpido, che la salva dal logorarsi di rabbia verso sé stessa e di rancore verso Lady Russell. Senz’altro è una sfortuna che il corso d’azione indicato e scelto le abbia causato anni di infelicità — da cui si salva appena in tempo — e la forza del romanzo è proprio la vertigine davanti all’imbarazzo di mosse e conseguenze, il ventaglio di soluzioni potenziali, nessuna certa, nessuna negata. Congelando la lezione imparata da Anne in un infantile “Non lasciare che nessuno ti dica chi puoi amare!”, Persuasione 2022 la relega alla stoltezza dei suoi famigliari sciocchi, sordi a ogni ragionamento. Incapaci di buon senso, senza cognizione degli altri, le loro azioni avventate, esuberanti, appariscenti determinano, a detrimento, quelle di tutti gli altri: Louisa salta giù dal frangiflutti di Lyme sbattendo la testa; Mary strilla e strepita quando si organizza un piano che non la mette al centro; Sir Elliot ed Elizabeth eccedono con lo sfarzo fino a perdere la loro casa.
Non solo, avallando l’idea che Anne sapesse dal principio quello che era meglio per lei — e che abbia mostrato debolezza facendosi consigliare — Persuasione 2022 conferma l’atteggiamento gnostico al cuore del femminismo pop più narcisista: il principio per cui decisioni e volontà individuali siano autonome, sacrosante, impermeabili all’opinione altrui, immuni dagli effetti che causano ad altri. È una forma estrema di individualismo che non ascolta e non ragiona, ma riconosce come imperativo morale solo il proprio desiderio. Una posa senz’altro divertente finché si è nel fiore degli anni — o collassate davanti a Netflix — ma che trascinata fuori dalle bolle digitali ci farà solo apparire ridicole. Oltre che uguali ai personaggi che Jane Austen avrebbe preso in giro nei suoi romanzi.
Grazie a Diletta per il suo contributo, ci leggiamo a fine agosto!
Un abbraccio!
Francesca, Gloria e Marzia