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Oggi leggiamo un estratto dal nuovo saggio di Marco Reggio, Vegan Antispecista, che ringraziamo insieme alla casa editrice Eris. Sempre per Eris è uscito da poco Sierocoinvoltə. La rivoluzione sessuale riparte dall’HIV, di cui ci parla Car G. Lepori. Buona lettura!
«Vuoi perdere peso?» Il veganismo alla prova della grassofobia
di Marco Reggio
[Alt Text: uno dei manifesti con cui l’associazione PETA promuove l’alimentazione a base vegetale. L’immagine è descritta nei suoi aspetti più critici nel prossimo paragrafo.]
Se il veganismo necessita di una decostruzione in relazione agli assi del genere e della razza, non può esimersi dal confronto con la corporeità. Si tratta infatti di una pratica politica che, più di altre, obbliga il soggetto a confrontarsi con questo aspetto: non fosse altro che per il fatto di riguardare principalmente l’alimentazione, elemento centrale per chiunque, carico di significati, proiezioni, conflitti, implicazioni pratiche, culturali, relazionali, emotive. Tutto questo non può non influire sulla nostra idea di corpo, sulla nostra idea di corpo sano, di corpo desiderabile, e così via. Anche da questo punto di vista, possiamo porre una domanda simile alle precedenti: che tipo di corpo promuove il veganismo?
Esiste, infatti, un animalismo mainstream che propone un preciso ideale che molti movimenti minoritari non possono non trovare critico. Possiamo prendere ancora, sempre come caso emblematico, un’altra campagna pubblicitaria della PETA. Qualche anno fa, questa associazione ha fatto affiggere sui muri di molte città degli USA un manifesto raffigurante una donna grassa in costume da bagno su una spiaggia, di spalle. Lo slogan era il seguente: Save the Whales – Lose the Blubber – Go Vegetarian. Cioè: Salva le balene – Perdi il grasso – Diventa vegetarianǝ. La frase fa ironia sulle tante campagne ecologiste/conservazioniste a favore dei grandi cetacei in via d’estinzione, e al tempo stesso suggerisce che il vegetarismo possa far perdere i chili “in eccesso”. Se già quest’ultima affermazione è decisamente criticabile, occorre rimarcare che lo slogan fa qualcosa di ben più grave: denigra le persone grasse, chiamandole «balene», e in particolare denigra le donne grasse, rappresentate iconicamente nel noto atto di eseguire (e fallire) la “prova costume”. Quest’ultima, del resto, viene in qualche modo legittimata, mentre sappiamo che si tratta di un meccanismo grassofobico, spesso interiorizzato, che di fatto opprime milioni di donne, inculcando l’idea che il proprio corpo, se non rientra negli standard di legittimo oggetto del desiderio maschile, deve essere oggetto di vergogna e di intervento per “superare la prova”, appunto. Si tratta di un manifesto evidentemente grassofobico. La PETA, anche in questo caso, tradisce la volontà di promuovere il veganismo a qualsiasi costo, se possibile facendo leva su una visione del corpo e della bellezza conformistiche, indiscusse, in qualche modo “facili” da utilizzare. Una visione che però, come sappiamo grazie all’attivismo grasso, è fonte di discriminazione, di esclusione e sofferenza.
Dall’attivismo grasso sappiamo anche che spesso la discriminazione sulla base del peso corporeo è declinata in termini di genere, come è evidente in questo caso. Non deve sfuggire poi che, qui, abbiamo un’associazione animalista che rafforza quel paradigma antropocentrico di cui abbiamo detto più volte, utilizzando una precisa specie animale come termine di paragone negativo: la balena come insulto, insomma.
Questo tipo di veganismo, chiaramente, non mette in discussione i più comuni stereotipi sul peso-forma. Che tipo di visione del corpo veicola? Di solito, il problema non è legato soltanto alla grassezza/magrezza, ma investe molti altri aspetti connessi al concetto di corpo. Questo veganismo ci dice con insistenza che la dieta senza carne ci permette di ottenere un corpo bello e desiderabile nei termini definiti da una società patriarcale, razzista e consumista. Ma anche abilista, se pensiamo all’insistenza sulla salute, sulla purezza e la vigoria fisica di questo corpo vegano in grado di produrre performance fisiche notevoli, di vivere il più a lungo possibile, esente da contaminazioni di sostanze malsane come tutto ciò che proviene dal mondo animale. Questo tipo di propaganda opprime in primo luogo proprio le persone vegan, costringendole a performare l’attivista che mangia sano, che si cura della propria bellezza, del sovrappeso, che si ammala meno dei carnivori, e così via. E, anche se l’esempio che abbiamo utilizzato è molto eloquente, non è appannaggio della PETA: basta dare un’occhiata a un qualsiasi gruppo o pagina vegana su un social media, oppure osservare la rappresentazione del corpo vegano fatta dai produttori di cibo industriale veg, che ci propongono soltanto immagini di persone magre, sane, abili, tendenzialmente bianche.
L’attivista e artista disabile antispecista Sunaura Taylor sostiene che la prospettiva dei soggetti disabilizzati troppo spesso entra in conflitto con i diritti animali: l’attivismo disabile trova la propaganda vegan sostanzialmente abilista, e l’animalismo in generale come un’istanza ostile alla ricerca medica (per via della sperimentazione animale); da parte sua, l’antispecismo vede spesso nelle persone disabili una minoranza che sostiene attivamente la vivisezione e l’alimentazione carnea. Al contrario, secondo Taylor il punto di vista disabile dovrebbe contaminare i movimenti antispecisti. Molte persone disabili che manifestano una forte sensibilità nei confronti degli animali, per esempio, sono scoraggiate a prendere parola pubblicamente in loro favore per colpa di una visione estremamente moralista e abilista del veganismo, una dieta che per alcunǝ di loro non è praticabile in senso stretto. In effetti, il veganismo mainstream chiede talvolta l’adesione meticolosa a una dieta senza tracce di derivati animali, attenta alla salute e propensa a ostentare un corpo in forma, efficiente e desiderabile, riservando a chi non segue la dieta vegan in modo “ortodosso” le accuse di violenza che dovrebbe riservare all’industria della carne, più che allǝ singolǝ consumatorǝ. E invece, ci sono persone per le quali alcuni fattori di salute, di tipo psichico, sociale o ambientale rendono impossibile rinunciare completamente al cibo di origine animale. Un approccio troppo identitario e purista, elaborato da soggetti abili che non riconoscono a sufficienza il proprio privilegio, esclude di fatto persone che potrebbero portare un punto di vista inedito e interessante, persone la cui motivazione emotiva e politica è persino più forte di molte persone “certificate” vegan. Il soggetto vegano abile e neurotipico, talvolta, giudica con severità le incoerenze di questi individui, senza considerare quanto poco costi, a se stesso, rinunciare a carne, pesce, latte e uova.
In realtà, se torniamo alla definizione originaria della Vegan Society, «Il veganismo è un modo di vivere che cerca di escludere, per quanto possibile e praticabile, ogni forma di sfruttamento e di crudeltà verso gli animali.» In questo inciso – «per quanto possibile e praticabile» – sta la sostanza della questione. Il punto non è la coerenza in senso assoluto, ma il fatto che il soggetto assuma su di sé in modo onesto e politicamente consapevole l’ingiustizia che caratterizza il rapporto fra la nostra e le altre specie. L’assunzione di responsabilità di fronte a questa violenza sistemica può quindi declinarsi in modi diversi di fronte ai limiti che ogni persona possiede a livello nutrizionale, psicologico, pratico. Pensiamo, per esempio, che il tempo a disposizione per fare la spesa o cucinare non è uguale per tuttǝ; che lo stesso grado di autonomia nel comprare il cibo o decidere la propria dieta varia in funzione dell’età, della mobilità personale o di altri fattori; che varia la capacità di reperire, comprendere ed elaborare alcune informazioni necessarie; che esistono diversi livelli di accesso a servizi medici, pediatrici, scientifici che in molti casi risultano decisivi per valutare in modo autonomo la fattibilità di una dieta che si discosta dalla norma generale; che anche il luogo di residenza e l’ambiente sociale possono influire sulla capacità di intraprendere un cammino che ad alcuni soggetti privilegiati (fra cui il sottoscritto) può sembrare tutto sommato facile da percorrere. Purché l’inciso della definizione della Vegan Society non diventi una facile scusa per perpetrare la violenza a livello individuale senza compiere alcuno sforzo per minimizzarla.
Marco Reggio (www.cospirazioneanimale.it) è attivista per la liberazione animale e ricercatore indipendente. Nel 2022 ha pubblicato per la collana Culture Radicali di Meltemi il libro Cospirazione animale. Tra azione diretta e intersezionalità. Nel 2024 ha pubblicato per la collana BookBlock di Eris Edizioni il libro Vegan Antispecista, per la liberazione animale e umana. Ha inoltre curato diversi testi antispecisti.
UN LIBRO
Sierocoinvoltə: un emozionante viaggio nella Wonderland della rivoluzione sessuale
di Car G. Lepori
Sierocoinvoltə. La rivoluzione sessuale riparte dall’HIV è stato per me uno dei testi più attesi editi da Eris. La copertina rosa shocking si fa notare subito tra i Bookblock, la collana dedicata alla saggistica breve che si pone l’obiettivo di affrontare tematiche di attualità in modo accessibile ma senza perdere il valore politico, e meno male. Questo testo deve farsi notare.
Scritto coralmente da Conigli Bianchi, artivistə contro la sierofobia, e PrEP in Italia, collettivo volto a diffondere informazioni sulla Profilassi Pre Esposizione, suscita curiosità nel lettore sin dal titolo. Cosa significa essere tuttə sierocoinvoltə? Com’è possibile che la rivoluzione sessuale possa addirittura ripartire dall’HIV?
Domande lecite, in una società che ha sempre trattato il tema dell’HIV con i guanti e uno sguardo lontano. Lo spauracchio dell’HIV perseguita da quarant’anni; attualmente si è più consapevoli che con le giuste terapie si possa convivere con il virus, ma le persone che vivono con HIV sono ancora costrette a vivere nell’Atlantide sommersa, per sopravvivere allo stigma che anni di campagne discriminatorie, giornalismo spiccio, menefreghismo da parte delle istituzioni hanno contribuito a creare.
Sierocoinvoltə è un libro queer, non solo perché raccoglie storie di persone gay, lesbiche, bisessuali e transgender. È queer per la sua capacità di queerizzare lo spazio del linguaggio e del sapere, attraverso una narrazione sperimentale che intreccia la saggistica con il memoir. Rivendica un registro fieramente cazzone e allo stesso tempo è capace di educare e offrire, attraverso informazioni scientifiche chiare e attuali, un cambio di prospettiva che rispecchia la realtà e mette a tacere tutti i pregiudizi.
La scorrevole lettura coinvolge dalle prime pagine, presentandosi come un viaggio attraverso Wonderland nei panni di un’Alice curiosa che attraversa luoghi incantati e incontra altri personaggi ispirati al mondo di Lewis Carrol, come Bianconigli, Cappellai Matti, Stregatti e altre Alici. Una scelta volutamente ossimorica rispetto al pensiero comune sul tema.
Durante questo viaggio i personaggi raccontano ad Alice numerose storie di sierocoinvolgimento. Storie diverse, che condividono un filo conduttore volto a fare recepire un messaggio chiaro: siamo tuttə sierocoinvoltə, la lotta all’HIV riguarda tuttə ed è attraverso la cura reciproca e le alleanze comunitarie che possiamo far fronte allo stigma e alla disinformazione. Ogni racconto è inoltre intervallato da illustrazioni create dai Conigli Bianchi, artivistə contro la sierofobia che si avvale di diversi linguaggi artistici al fine di combattere lo stigma che colpisce le persone con HIV. Una scelta inusuale per la collana Bookblock che apre a nuove prospettive narrative.
Le numerose penne che hanno contribuito alla scrittura del testo si intrecciano in un filone di racconti di vita, di morte, di desiderio, di piacere, di amore, di lotta, di cura, di paura, di mancanze, di rabbia e di speranza. Voci a volte crude e senza filtri, che mostrano all’Alice viaggiatrice la realtà di un passato e un presente sierofobico, la violenza istituzionale e le contraddizioni capitaliste, classiste, queerfobiche e misogine del sistema medico e farmaceutico dagli anni ‘90 ad oggi in Italia, voci considerate controverse come quelle dei bug chaser, che mostrano le fantasie e i bisogni di una comunità volutamente lasciata indietro, voci determinate che raccontano la gioia di vivere, di amare, di riscoprirsi come persone oltre l’HIV, di fare sesso e di creare spazi comunitari potenzialmente rivoluzionari.
Vedo comunità reali e virtuali che ampliano la potenza sociale e culturale dell’HIV e portano la conoscenza a migliaia di ragazze imparate, ragazzi impauriti, ragazzə impauritə e senza risposte. Come lo ero io. Vedo il mare, il sole e la sabbia.Vedo l’HIV e vedo la vita. (p. 68)
Un grande punto di forza di questo testo è inoltre la scelta di raccontare storie silenziate e invisibilizzate, come quelle delle donne che vivono con HIV o che scelgono la PrEP. Donne escluse dalle narrazioni che centralizzano gli uomini omosessuali, donne colpite non solo dallo stigma sierofobico ma anche da misoginia e lesbobitransfobia, ignorate dal sistema sanitario perché classificate come a basso rischio e poste spesso ai lati dagli stessi uomini cis gay attivisti.
Fatevi i cruising vostri, perché noi costruiamo questi spazi liberati da decenni e tocca sempre ricordarvi che la società e il sistema culturale in cui siamo immersə ci impedisce ancora oggi di attraversare le strade come meglio desideriamo, figuriamoci il piacere! Non siamo noi i simulacri problematici da cui dovete liberare questi spazi, non è grazie alla nostra assenza che dovreste definirli come spazi liberati. (p.95)
Nel suo viaggio, l’Alice protagonista porta con sé una storia dopo l’altra e acquisisce sempre più strumenti di conoscenza, anch’essi rappresentati spesso come elementi di Wonderland. Mantiene sempre uno sguardo curioso e si pone in ascolto, r/accoglie l’emotività di ogni personaggio che incontra e la porta con sé, diventando sempre più consapevole.
Scopre termini nuovi e spesso complessi, tutti riportati in un comodo glossario finale che aiuta il lettore a orientarsi nello spigoloso linguaggio medico. Scopre i fantastici poteri della PrEP e il mondo di possibilità data dalla conoscenza della formula magica U=U: undetectable equals untrasmittable. Esplora il mondo sommerso di Atlantide, si ritrova circondata da farfalle fiocco rosso delle associazioni, si confronta con una Lepre Marzolina e col mondo della genitorialità con HIV, legge toccanti lettere d’amore e intensi manifesti di rabbia transfemminista, e molto altro.
Il testo si conclude con un approfondimento scientifico sul tema HIV/AIDS in cui vengono riportate con chiarezza eziologia e patogenesi, modalità di trasmissione del virus, rilevazione attraverso i test e informazioni riguardanti la PrEP e i suoi costi.
In un panorama sociale che vuole le persone che vivono con HIV costrette nelle profondità di Atlantide, Sierocoinvoltə rappresenta un efficace strumento a trecentosessanta gradi per dimostrare quanto abbia da offrire la superficie, ma anche per renderci conto della responsabilità collettiva che abbiamo, tuttə, nel fare nostra questa lotta.
Pensai di aver ricevuto una sentenza di morte, e l’abisso si spalancò sotto di me. Mentre precipitavo in questa buca, Harry, Cappellaio Matto attento, entrò in scena e mi accompagnò giù per quella tana che conosceva come le sue tasche facendomi luce: “Non morirai! Oggi ti porto alla clinica. Inizierai un trattamento che ti manterrà in salute. Non è la fine della tua vita sessuale. Vivrai quanto avresti vissuto prima di oggi. Ora fatti una bella tazza di tè!” (pp. 110-111)
Fare ripartire la rivoluzione sessuale dall’HIV significa anche cominciare a non vedere più la sieropositività come qualcosa da correggere o da eliminare, e vederne il potenziale di insegnamento in termini di vita, di amore, di piacere e di cura. In questo, si colloca la potenza di questo testo.
Concludo con la citazione finale di un capitolo che ho amato con tuttə me stessə:
Il piacere non ha genere
I fluidi non hanno genere
Il sangue non ha genere
La saliva non ha genere
Il piscio non ha genere
E nemmeno le lacrime hanno genere.
Car G. Lepori (pronomi neutri) attraversa i collettivi transfemministi queer di Torino, con un focus sulle lotte e rivendicazioni delle persone poliamorose e bisessuali. Ha prodotto Poly-tecnico, Poly-tico e Poly-roid (2021), serie di zines sulle non-monogamie. È coautorə del saggio Poliamore. Riflessioni transfemministe queer per una critica al sistema monogamo (Eris Edizioni, 2023).
CALENDARIO
Per chi rientra a Milano dopo le ferie, l’associazione Tafano ha pensato un evento “back to school”: mercoledì 11 settembre al cinema Beltrade ci sarà una doppia proiezione di due cult assoluti: alle ore 20.30 la proiezione di 30 anni in un secondo (2004) di Gary Winick e alle 22.30 quella di Mean Girls (2004) di Mark Waters, scritto da Tina Fey.
Una riflessione sull’eredità di queste ragazze cattive sul contemporaneo, insieme a tante sorprese a tema anni duemila e gli ospiti Giada Biaggi, scrittrice e comica, e Francesco Foschini, critico cinematografico.
Grazie a Marco, Car ed Eris per aver contribuito a questo numero. Ci leggiamo a settembre!
Un abbraccio!
Francesca, Gloria e Marzia
Ma che bello che il nostro libro è finito su Ghinea!